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#STORYTELLING #CIVILLERILOSICCO


Sei agosto 2010. Partenza per Valledolmo h14:45 in bus. Biglietto di sola andata.
Così comincia la mia avventura teatrale su un nuovo cammino, tutto da inventare.
Nel 2003, ben sette anni prima, me ne ero allontanata, dolorosamente e inevitabilmente.
In tutti questi anni, il mio percorso di ricerca si era accostato a realtà giovani, non per questo poco interessanti.
Al contrario. La mia riflessione interiore, poiché il teatro è stato sempre una questione personale, continuava ad alimentarsi traendo freschezza e linfa nuova avvicinandomi a chi, per poca esperienza ma grande entusiasmo, ne realizzava la bellezza e leggerezza mantenendo un rigore gioioso.
Niente ombre ingombranti, niente ritorsioni psicologiche, nessuna crudeltà gratuita o violenza inutile.
Tutto questo era solo sul palcoscenico. E non ne varcava mai la soglia. La mia necessità incontrava quella altrui senza che ciò provocasse sofferenza.
Il teatro è stato sempre per me, e non solo per me, crudele, violento, crudo e necessario. Ero e rimango disposta ad espormi al rischio, mantenendo una zona di cuscinetto entro la quale non permettere sfrangiamenti fra questo pericolo e la mia incolumità, fisica e mentale.
Una grande curiosità mista ad agitazione mi accompagnava su per i tornanti della provinciale ed accresceva proporzionalmente al diminuire della distanza. Due ore e mezza più tardi sono nel corridoio della scuola che ci ospita, con la mia valigia piena di senso e vuota di aspettative.
Mi immergo in ciò che proviene dalla palestra, cieca, in questo nuovo mondo fatto di suoni, voci, vibrazioni con i quali proverò a convivere per i prossimi dieci giorni: il rimbalzare ritmico e potente dei palloni sulle note di “Rabbia e Tarantella” di Ennio Morricone ha qualcosa di marziale ed inquietante, come se una bestia ancestrale, acquattata e sopita, stesse risvegliandosi.
Il boato si impasta a voci indistinte, ordini impartiti e urlati, fischi acuti e schiamazzi.
La curiosità vince il timore. Entro.
Il mio sguardo si fa attento per decifrare i segni di ciò che è già accaduto. Mi lascio incantare da una primigenia tessitura di sguardi e storie, corpi che raccontano vite immaginate, sogni altrui che si fanno sudore mescolato e indistinto.
Ciò che appare preminente è la tensione verso la creazione di un corpo unico, che alberga nel caleidoscopio di personalità diversissime, che stridono nel tentativo di consolidarsi.
Si tratta certamente di una combinazione voluta, scelta deliberatamente per creare un contrasto originale, una realtà che è ancora priva di nome e di una sua autonomia.
Ho una gran voglia di conoscere ognuno di loro. Da dove vengono. Cosa cercano. Perché anche loro, come me, sono qui. Qual è la necessità che vogliono raccontare.
Nello sguardo che scambio con Sabino e Manuela in un istante sono a casa.

Daniela Lo Re