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#STORYTELLING #CIVILLERILOSICCO


Quinzio è un uomo che si stupisce ancora. Questa è una nota all’inizio delle pagine dedicate alla residenza al PimOff di Milano. Il silenzio che tutti affermavano essere la sua caratteristica principale, a me raccontava inquietudine. La sua inquietudine. 
Nel percorso creativo ho sentito spesso la sua irritazione su tutto ciò che ostacolava o rallentava il normale fluire creativo. Potrei giurare di aver sentito suoi monologhi lunghissimi durante i giorni della residenza e allo stesso tempo affermare con certezza che nulla è stato detto. Ho conosciuto anche la sua ferocia che consisteva in un severo sguardo, di quelli che mettono a disagio qualsiasi parola, qualsiasi azione. Mi sono affidato spesso come uomo e come artista. Tempo dopo mi ritraeva in una foto nella cucina della foresteria del Teatro Era di Pontedera in cui caricavo con dovizia una pistola giocattolo durante una riunione di compagnia. Scarrellavo, tecnicamente. Nella mia vita da papà in cui i cowboys erano gli adulti e gli indiani erano i bambini, niente di strano. Guardando quella foto però con attenzione, mi rendo conto di averla sottovalutata. Quinzio, no. Aveva le idee chiare. Tornando alle giornate al PimOff ricordo la nebbia quando aspettavamo il tram per andare a dormire. Lasciavo tutti lì, sempre curioso di conoscere le loro chiacchiere dopo il lavoro. A casa trovavo mio figlio, piccolo, che mi guardava fisso per un minuto e poi russava. Si assicurava che fossi tornato vivo? Che fossi tornato e basta? Quindi pensava: “la sua sparizione per un’intera giornata non era un vero addio! Da cosa veniva risucchiato il suo papà?” Io mi intonavo subito dopo al suo respiro, in un dialogo privo di sensi.
La residenza fu durissima,  ma nessuno dava segni di cedimento. Tre giorni prima di trasferirci al Crt Salone, venne organizzato un incontro in cui studiosi di teatro, sportivi, allenatori e psicologi dello sport affrontavano le traiettorie tematiche dello spettacolo. Ho conosciuto l’allenatore della Rugby Milano. Un personaggio fantastico, un allenatore incredibile! Quando prese la parola la sua sedia divenne un accessorio, inutile, ingombrante. Andava su e giù per il palco del PimOff senza sosta.  Calcava la scena! Raccontava di scontri, di lotta, di sport, di amore e dedizione. Raccontò della tecnica che utilizzava con i suoi giocatori quando commettevano un errore o combinavano casini. Dava loro una penna e chiedeva di scrivere su una parte del corpo l’errore commesso. Non potevano lavarlo. Nelle mie note di quei giorni cercai tutte le spiegazioni possibili, ma oggi, che ricordo e scrivo, tutto è chiaro. Lui, l’allenatore, non giustificò il suo agire, perché era perfettamente in linea con gli uomini che allenava. Mi chiese: “Sai cosa significa dover mettere sotto tensione una squadra i cui atleti pesano sette volte te capaci di placcare cucine componibili che corrono.