Paola: e perché adesso me lo racconti?
Federica: perché adesso ti dico tutto. Perché adesso so che le cose orrende accadono, proprio come le cose belle e dipendono da noi.
P: and why you tell me now?
F: because now I’ll tell you everything. Because now I know that the horrendous things happen just like the good things and depend on us
(Elena Stancanelli)
“Il teatro di grande fisicità si rivela anche lirico”
“The Theater of great physicality is also revealed lyric”
(Anna Bandettini La Repubblica)
Il Tandem è una scultura che tiene due corpi in equilibrio, inchiodata ad un fulcro centrale. É una macchina paradossale, concepita per il movimento ma costretta nella scena all’immobilità. Veicolo su cui vengono vissuti e condivisi sogni e conflitti, avventure e pericoli. É un mezzo che viene riparato e maltrattato, ma rimane l’unica possibilità di giocare la vita. Finché questa non finisce. Lo spettacolo “Tandem” è il desiderio di colmare un vuoto inspiegabile.
Tutto è già avvenuto.
Un corpo ventunenne riverso sull’asfalto e la solitudine di chi vorrebbe ricostruire l’accaduto e cerca di colmare il vuoto e il silenzio lasciato da quel tonfo.
“Potevamo andare al mare, potevamo girare dall’altra parte, ma non lo abbiamo fatto.”
Quel corpo riverso sull’asfalto è l’unica cosa che sappiamo. Torniamo indietro. Curve spericolate, discese mozzafiato, sobbalzi, sorpassi e sole negli occhi. Questo è il mondo da ragazzi. Tutto ti investe come il vento quando vai in bici. I pensieri sono semplici e sembrano non avere conseguenze. Si vivono giorni fragili, sospesi nel dubbio che la strada che prenderai sia quella giusta. Ma in fin dei conti non si fanno tante domande perché sono troppo occupati a vivere cosa che gli adulti a poco a poco dimenticano. Federica rimane e il suo diventare grande coincide con una fine inspiegabile. Chi giace stesa per terra davanti a Federica? Una parte di sé, la sua amica Paola. Nel disperato tentativo di ricostruire il cammino che le ha portate lì, Federica ripercorre le tappe e gli incontri. Cerca di espiare il suo senso di colpa, di collegare gli eventi che confusi si presentano nella sua mente. Federica percorre una linea sottile tra sogno e speranza al fine di liberare il lutto, di liberare Paola, lasciarla andare. Paola accompagna Federica in questo viaggio, le rimane accanto ancora una volta, non vuole lasciarla, non vuole essere dimenticata.
The Tandem is a sculpture holding two bodies in balance, nailed to a central hub. It is a paradoxical machine, designed for the movement in the scene but forced to immobility. Vehicle on which they are experienced and shared dreams and conflicts, adventures and dangers.
It is a means that is repaired and mistreated, but remains the only chance to play life. As long as this does not end. The play “Tandem” is the desire to fill an inexplicable void. Everything has already happened. A twenty-one years old body lying on the asphalt and the loneliness of those who would reconstruct what happened and try to fill the void and the silence left by the crash.
“We could go to the beach, we could turn the other way, but we did not.”
The body lying on the pavement is the only thing we know. Let’s go back. Daring curves, breathtaking descents, bumps, overtaking and sun in their eyes. This is the world by boys. Everything invests you like the wind when you ride a bike. Thoughts are simple, and they seem to have no consequences. You live fragile days, hanging in doubt that the road you take is the right one. But in the end they do not ask many questions because they are too busy living things that adults gradually forget. Federica remains and her growing older coincides with her inexplicable end.
Who lies stretched out on the ground in front of Federica? A part of her, her friend Paola. Desperate attempt to reconstruct the path that led them there, Federica retraces the steps and meetings. She tries to atone for her guilt, connecting the events that occur in her confused mind. Federica runs a fine line between dream and hope in order to free the mourning, to free Paola, to let her go. Paola accompanies Federica on this trip, she remains once again beside her, does not want to leave her, doesn’t want to be forgotten.
Nel caso specifico del progetto Tandem, abbiamo scelto di chiedere ad artisti e collaboratori di intervenire con originalità sull’idea che proponevamo. Le musiche dello spettacolo del musicista/cantautore Davide Livornese, il Tandem opera dell’artista Mario Petriccione, il testo della scrittrice Elena Stancanelli, il manifesto dipinto dall’artista Riccardo Brugnone, nostra la drammaturgia scenica e la regia, le luci di Cristian Zucaro, la campagna di promozione e comunicazione sullo spettacolo di ISI frame, sono create appositamente per il progetto e non preesistono all’idea. I temi che affrontiamo portano in sé delle domande scaturite da una riflessione sulla vita e le dinamiche che ci circondano nel tempo specifico in cui la viviamo; nel caso particolare Tandem invita lo spettatore a porre lo sguardo sul mondo dei giovani, sulla necessità di cambiamento, sui meccanismi di passaggio dalla gioventù al mondo degli adulti. Infatti in controluce si intravede la storia di Carlo Giuliani e di quei ragazzi che nel luglio del 2001 andando a Genova pensavano di poter cambiare le cose.
Ideazione e regia/Conceived and directed by: Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco.
Testo/Text: Elena Stancanelli
Con/With: Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi
Spazio musicale/Musical Space: Davide Livornese
Disegno Luci/Lights: Cristian Zucaro
Datore luci/Technical Operator Lights: Marcello D’Agostino
Disegno e costruzione tandem/Design and construction of tandem: Mario Petriccione
Posa in aria tandem/Tandem Hanging: Stefano Pasquali/La moto 34 Roma
Organizzazione e distribuzione/Responsible for distribution: Giusi Giardina
Ufficio stampa A.C. Civilleri/Lo Sicco/Press office A.C. Civilleri/Lo Sicco: Erika Favaro
Produzione/The production was carried out by: A.C. Civilleri Lo Sicco, Santabriganti-Scenica Festival, Festival dell’Incanto, Associazione Demetra
Supporto alla produzione/Production support: ExKarcere Csoa di Palermo, Teatro Nuovo Montevergini
Produzione per la tournée estera/Production for the International Tour: A.C. Civilleri Lo Sicco, Teatro Biondo di Palermo, con il sostegno del TMO – Teatro Mediterraneo Occupato
Press
Parlano dell’occupazione, di una serata in spiaggia, ma nei racconti di Federica a volte Paola non c’è più. Quando si arrampicano sulla sella, chi è viva e chi no non ha più importanza; la bici-totem si anima, assorbe l’adrenalina che esplode dai pedali e diventa tandem.
I loro corpi sono affidati alla precarietà della molla che si flette e le porta a sfiorare il suolo. Federica e Paola non hanno paura di velocità o curve, pedalano e intanto rievocano amori, sudano, si muovono tra i ferri del tandem come equilibriste mai al sicuro, perché ogni relazione è un gioco di postura e di peso. Federica (Manuela Lo Sicco) sta dietro e da una posizione rialzata ha uno sguardo più maturo, deciso, velato da una consapevolezza che si sgretola quando realizza che l’amica, dopo che la polizia ha sparato alla manifestazione, non c’è più. E allora grida disperata “Paola, non andare via”, ma il destino è una questione di attimi e centimetri. Paola (Veronica Lucchesi) sta davanti, stringe il manubrio, ha una voce infantile e cristallina e i suoi occhi sono spalancati, smaniosi di fare a pugni col mondo. Personaggi del loro passato rivivono grazie a semplici gesti: un passamontagna ed ecco Ciccio – un meccanico scontroso che fa battere il cuore –, un’espressione arcigna e compare la professoressa.
Tandem, diretto da Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri, storici attori di Emma Dante, è intenso come una pedalata in salita senza sosta, è un esercizio che porta due corpi allo sfinimento, un muro di suoni post rock su cui si proietta la memoria. È il racconto di una parte di vita vissuta insieme, in bilico, interrotta.
Erika Favaro
Sono bravissime Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi nell’interpretare il testo costruito attorno a un tandem-scultura. La pièce trasmette tuttavia un senso di incompiuto. Il cuore e il nucleo pulsante di Tandem – il nuovo spettacolo di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, già attori storici della compagnia di Emma Dante e autori, un paio d’anni fa, del fortunatoEducazione fisica – è la scultura che sta al centro della scena, opera dell’artista Mario Petriccione: due biciclette saldate insieme su una grossa molla da carrarmato, che consente a chi pedala di spostarle sul loro asse, di inclinarle sia longitudinalmente che trasversalmente, simulando salite e discese, curve vertiginose in cui il mezzo arriva quasi a toccare terra col fianco, per poi risollevarsi senza sforzo. Più che un tandem, è una macchina celibe, uno di quegli oscuri strumenti che fanno quasi tutt’uno con gli attori, e che Kantor definiva «bio-oggetti». È partendo da quest’opera che Civilleri e Lo Sicco hanno immaginato la situazione alla base della loro proposta. Ne sono partiti in assoluto, perché l’oggetto preesisteva all’idea dello spettacolo, e l’ha totalmente, concretamente ispirata. Ma ne sono partiti anche perché esso condiziona comunque, passo passo, le invenzioni delle due attrici-cicliste, le loro relazioni reciproche. Il tandem è di per sé un veicolo destinato a due passeggeri, che esige intesa, sforzo comune per andare: è la metafora meccanica di una dualità, di un legame. Ed è un elemento decisivo nell’orientare il tipo di azione, che non può essere se non quella di pedalare o di sterzare, ovvero, come avveniva col basket in Educazione fisica, di prodursi in un atto di teatro che è insieme un esercizio sportivo. Ciò che fanno le due protagoniste, almeno in una fase iniziale, sembra essere proprio questo: una semplice gita in bicicletta, un’atletica, faticosa ma appagante pedalata, una spensierata corsa, verso dove? Verso il mare? Le ragazze, giocosamente, si preparano, si aggiustano i capelli, mettono a punto il tandem, balzano in sella e cominciano a mimare il loro viaggio immobile. Accelerano, frenano, sterzano piegando pericolosamente di lato, e intanto chiacchierano come due adolescenti un po’ svampite, spettegolano sui loro ragazzi, si raccontano episodi del passato. Solo un’arma, una pistola che tentano silenziosamente di sottrarsi l’una con l’altra, sembra alludere a un qualche insospettabile sviluppo tragico, non si sa se di là da venire o già accaduto. Durante le soste, le ragazze rievocano e imitano persone incontrate anni prima, l’innamorato che una di loro ha esposto, per capriccio, a un crudele pestaggio, l’amico che riparava biciclette, una preside grassa e saggia. Così, a poco a poco, tra presente a passato, si mette a fuoco il problema: le due stanno vivendo – hanno vissuto – un momento di rivolte studentesche. La pistola l’hanno comprata da un malvivente, per dare alle loro lotte una svolta rivoluzionaria. Una è fermamente convinta di questa scelta, l’altra vorrebbe tornare indietro, riportare la pistola a chi gliel’ha venduta. Vorrebbe convincere l’amica a cambiare direzione, ad andare al mare, ma invano. Durante una manifestazione si spara da entrambe le parti, e la compagna di pedalate resta uccisa. Ecco, in questo finale imprevedibilmente sanguinoso sta, a mio avviso, il pregio e il limite di Tandem: è infatti interessante l’idea di utilizzare quella trama fisica lieve, quasi trasognata, quella partitura di gag e di minute invenzioni gestuali per raccontare un dramma dei nostri giorni, una storia di violenza di piazza e di morte che vorrebbe richiamarsi addirittura a Carlo Giuliani. Ma allora, per dare davvero un senso a questo racconto, per farlo diventare quel rito di crescita, di accettazione delle brutture della vita che vorrebbe essere, bisognerebbe metterci di più, un altro crescendo, un altro respiro drammaturgico. Servirebbe un testo – seppur frammentario, costruito per accenni –dall’andamento un po’ meno scarno di quello messo a punto da Elena Stancanelli. Sbaglierò, ma penso che i due ideatori e registi possano e debbano lavorarci ancora. Così com’è, lo spettacolo sembra solo un primo abbozzo, uno “studio” intelligente, carino, pieno di trovate, soprattutto per quanto riguarda l’uso di quell’ingegnosa macchina scenica, ma complessivamente alquanto esile. Le due interpreti, la stessa Lo Sicco e la giovane, incontenibile Veronica Lucchesi– un vero fuoco di fila di smorfie, lazzi, guizzi buffoneschi, fino all’epilogo improvvisamente straziante – sono bravissime nello sfoggiare quell’effervescenza un po’ burattinesca che rimanda più o meno direttamente a un certo stile della Dante. Il tutto, però, rischia appunto di restare soltanto “carino”: non graffia, non ferisce, non prende i tempi giusti per far pensare.
Renato Palazzi
Fonte: delteatro.it
Dopo “Short Theatre”, un’altra rassegna, “Teatri di vetro” a cura di Roberta Nicolai, ha calamitato le attenzioni del pubblico romano verso studi e produzioni giovani (Clinica Mammuth, Punta Corsara, Federica Santoro).
Tandem di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco — anche in scena con la bravissima Veronica Lucchesi — è sembrata interessante per il modo in cui un teatro di grande fisicità si rivela anche lirico. Il “tandem” è quello affettivo di due ragazze amiche, materializzato al centro della scena in un “vero” tandem su cui pedalano infaticabili Paola e Federica, i due personaggi. Realizzata da Davide Livornese, questa scultura “fissa”, una doppia bici montata su un ammortizzatore a molla, è lo spazio-simbolo dove vivono le due amiche, luogo di fuga, di sogni, di amori (forse, il loro amore) ma inesorabilmente immobile. La bella idea scenica pretende dalle due attrici un corpo vivo, partecipato, una recitazione molto fisica nella linea del precedente lavoro di Civilleri-Lo Sicco, Educazione fisica e della loro storia artistica iniziata nel teatro di Emma Dante, ed è questa la cosa più notevole dello spettacolo. A ciò si aggiunge la riuscita specificità drammaturgica del testo di Elena Stancanelli che sposta via via la storia, spesso anche comica, in una zona onirica, allucinatoria e modifica mano a mano il punto focale della narrazione verso un lutto, verso quella pistola che gira minacciosa tra le mani delle due amiche, crudele feticcio della fine di tutto dove precipitano i sogni di cambiamento. Bello il finale che ricompone la storia come fosse un epitaffio e ci riporta alla dura realtà del nostro tempo. Senza zucchero, né sentimentalismo.
Anna Bandettini
Fonte: repubblica.it
Federica e Paola sono due adolescenti, così simili che puoi quasi scambiarle: maglietta bianca, jeans, stivaletti, capelli lisci sulla testa e crespi alle punte. Indivisibili, così come le due biciclette saldate insieme che troneggiano nel mezzo della scena, il tandem appunto, una scultura praticabile e sostenuta da un’enorme molla, realizzata da Mario Petriccione, che dà nome all’intera piéce. Tandem è uno spettacolo della compagnia Civilleri/Lo Sicco, due attori che abbiamo già avuto modo di apprezzare con la regista siciliana Emma Dante, costruito su un testo di Elena Stancarelli. Le due adolescenti, interpretate da Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi, vogliono fare la rivoluzione. Il tandem può portarle ovunque, anche al mare, ma scelgono di andare alla manifestazione in piazza. L’entusiasmo è quello irrequieto della prima gioventù, dove tutto è assoluto, netto. Federica però sembra sempre più turbata: alla manifestazione è accaduto qualcosa. Forse c’entra quella pistola che abbiamo visto passare tra le mani delle protagoniste. L’intera trama è costruita a salti temporali che talvolta confondono lo spettatore. Nel finale comunque la tragedia si svela: Paola è morta; un colpo d’arma da fuoco la stronca proprio lì, dove voleva fare la rivoluzione. Interessante il tappeto sonoro di basso ed effetti elettronici di Davide Livornese, capace di colorare ed arricchire le scene, troppo lunghe, delle pedalate; gradevole ma forse ancora acerbo il resto. Il tema dell’adolescenza, questa drammatica via che porta all’età adulta, è senza dubbio denso di spunti e di possibilità di ricerca. Ci sono molte immagini, anche riprese dalla cronaca nazionale degli ultimi anni, che si fanno strada nelle nostre menti durante la visione di Tandem, non ultime quelle della morte di Carlo Giuliani al G8 di Genova.
Ci auguriamo di assistere nuovamente allo spettacolo e di trovarlo cresciuto, proprio come un ragazzo che, attraverso l’esperienza, è diventato un uomo.
Chiara Lazzeri
Fonte: tuttomondonews.it
La compagnia Civilleri/LoSicco – fondata da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, storici attori di Emma Dante – porta sul palco di Teatri di Vetro la nuova produzione Tandem, da un testo originale di Elena Stancanelli. La drammaturgia della scrittrice fiorentina non è l’unico punto di partenza forte, stringente, dello spettacolo. C’è il Tandem. Cioè un dispositivo scenografico che è lo spettacolo, il suo centro: una bicicletta tandem, inserita in cima a una grossa molla di ferro, che ruota e si piega al centro della scena, un piedistallo montato e smontato dalle due attrici (Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi), un luogo a cui tornare e intorno cui stabilire un’ultima volta un contatto. Un ammasso di ferraglia pesante, terreno, ingombrante, addirittura minaccioso nella sua stranezza raffazzonata che è allo stesso tempo labile come un ricordo da afferrare, astratto come una congettura, come un futuro anteriore che non si è verificato, un luogo dell’anima in cui restare, ancora per un po’, insieme.
Lo spettacolo vibra nella fisicità delle sue interpreti. Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi sono chiamate a una prova dura, devono gestire un dispositivo registico difficile come quella strana scultura su cui si arrampicano, su cui sudano, e insieme far vibrare le corde di un testo che pur essendo attraversato da un dolore lacerante non si accontenta dei canali agevoli delle facili emozioni. Un testo che restituisce l’intimità di un rapporto strettissimo, la sorridente vitalità di un’adolescenza che resiste a tutto, anche alla violenza della vita.
Federica e Paola, due giovanissime amiche separate da un evento traumatico. Federica che ricorda Paola, che la trattiene ancora a sé, e nel trattenerla si tortura con le domande, “Ma se io?”, “ma se noi?”. La memoria è uno spazio non euclideo. Non lineare. Il reale e l’eventuale, il presente, il passato e il futuro si mescolano, sono linee ingarbugliate. Tandem è questo, una memoria lacerata dal dolore di una perdita, attraversata dal tormento di una responsabilità individuale che sopravvive schiacciata dalla presenza di una storia sovraindividuale che non lascia prigionieri. Due amiche che non sono andate al mare con quella bicicletta, che si sono trovate nel posto sbagliato. Potrebbe essere la Genova di Piazza Alimonda ma non è il divenire minuto della cronaca che interessa a Stancanelli, a Civilleri/LoSicco: è lo scandalo della vita come porzioni infinitesimali di piccole decisioni dalla gigantesca e dolorosa sommatoria.
Giacomo Lamborizio
Fonte: paperstreet.it
Siete in giro per l’Italia con il vostro nuovo spettacolo Tandem, un progetto artistico d’impatto e dalle mille sfaccettature. Come è nata l’idea e di cosa si parla? Come è stato il sodalizio con la scrittrice Elena Stancanelli?
Eravamo curiosi di sapere cosa rimane quando una parte di te si allontana, quando il Due si spezza, quando la vertigine ti fa perdere l’equilibrio. Parlavamo a una cena tra amici, Mario Petriccione, artista, ascoltava. L’indomani, ci disse ” io l’ho fatto!”. E quella che per noi era una macchina fantastica ci si è materializzata davanti agli occhi. Ogni spettacolo porta in sé delle domande che scaturiscono da una riflessione sulla vita e sulle dinamiche che ci circondano nel tempo specifico in cui viviamo; nel caso particolare Tandem invita lo spettatore a porre lo sguardo sulle necessità di cambiamento, sui meccanismi di passaggio dalla gioventù all’età adulta. Federica e Paola, sono due amiche che la vita separa. L’una insegue l’altra nel tentativo di colmare un vuoto inspiegabile. Tutto è già avvenuto. Federica cerca di ricostruire i motivi o le dinamiche di questa fine viaggiando tra le sue paure e i suoi sensi di colpa. La narrazione è frammentata, esile, pochi indizi, molte immagini e ricordi. Siamo davanti ad un mondo sospeso, in equilibrio tra sogno e realtà dove il reale è un pericolo imminente e il sogno il ricordo di loro due insieme su un tandem in corsa. Il Tandem sospeso tra cielo e terra sulla molla di sospensione di un carrarmato diventa fulcro di questa storia paradossale, concepito per il movimento ma costretto in scena all’immobilità. Viene smontato, usato e coccolato, diventa muretto sul quale guardare le stelle o trincea di una lotta in strada. Una zattera per tenersi aggrappati alla vita. La nostra collaborazione con Elena Stancanelli nasce già dalla prima produzione Educazione Fisica di cui firma il testo. Da sempre il nostro rapporto ci ha visti interlocutori autonomi e oggettivi. Tutto inizia da una riflessione, una nostra domanda da cui lei parte per la scrittura del testo. L’intervento che noi le chiediamo è sempre stato quello di inserire un virus nella nostra drammaturgia scenica. La composizione della parola non avviene contestualmente: la parola, così come la drammaturgia scenica, si muove costantemente; essa ha un carattere esile e non aderisce canonicamente alla scrittura. Nel nostro lavoro partiamo dalla volontà di sfuggire al naturalismo per aprirci alle possibilità che permettono all’osservatore di modificare la sua comprensione rispetto a quello che osserva: la scrittura scenica e la gestualità, quindi, sfuggono dalla didascalia del testo. Il livello di comprensione si attesta su parametri diversi che implicano un’attenzione da parte dello spettatore, che è accompagnato ad attivarsi in una sorta di ricostruzione degli eventi.
Vi siete esibiti a Roma nell’ambito della manifestazione “Teatri di vetro”: che bilancio fate di questa esperienza?
Teatri di Vetro è un festival che abbiamo conosciuto qualche anno fa con lo spettacolo Educazione Fisica. Era diverso nel contesto, ma l’anima è rimasta quella. Questa edizione ci è sembrata estremamente aperta e coinvolgente, anche per la nuova struttura che la direttrice e il suo staff hanno dato alla manifestazione. Abbiamo goduto di una partecipazione molto intensa sia di pubblico, che di operatori e colleghi. Questo è importante perché crea quelle connessioni e quegli incontri necessari a una condivisione di ciò che facciamo. Non stiamo alludendo a nuove recite o richieste di programmazione, ma di quelle sane chiacchiere e approfondimenti che ti accompagnano per tutto il momento del festival. Aggiungeremmo che Teatri di Vetro, nella sua nuova veste cittadina, ha intrapreso un percorso che si pone maggiormente in sintonia con la riflessione su che cosa sia un festival oggi, in Italia. Noi stiamo dalla parte di chi le domande le pone e le accoglie.
Siete indubbiamente molto legati alla vostra terra, la Sicilia, che negli ultimi anni sta dando un grande contributo al teatro contemporaneo, in primis con la vostra “madrina artistica” Emma Dante, ormai nome guida dello stabile di Palermo e non solo. A cosa si deve questo grande produttività e questo successo a livello nazionale?
Individuare i motivi oggettivi che hanno portato Emma Dante e la compagnia SudCosta Occidentale a una tale fulminea esplosione non è facile per noi, che siamo stati coinvolti in questa esperienza unica e irripetibile. La tenacia e l’urgenza che Emma ci ha sempre trasmesso pensiamo sia uno degli ingredienti. Il Teatro di Emma arriva al pubblico e racconta storie di uomini attraverso il corpo di uomini. Noi siamo stati strumento. Non esisteva tempo o giudizio, ogni giorno era vissuto come fosse l’ultimo. A questo si aggiunge il fatto che sbarcavamo da una terra difficile come la Sicilia e che il linguaggio che esportavamo era quello della nostra Terra.
«Dentro i teatri l’uomo ha un valore assoluto, l’aria ha un peso diverso, una consistenza diversa. La luce è materia visibile, il vuoto ha un ritmo, la scienza non è perfetta e il volo può essere una caduta. Basta una piccolissima variazione ad uno di questi elementi per cambiare profondamente il senso di tutto, distruggere il microclima adatto a generare nuove forme… di vita». Dai vostri spettacoli s’intuisce come per voi il teatro sia vita, non pura rappresentazione. Come vi ponete al riguardo? In che modo vi preparate per salire in scena e quale è il messaggio che volete arrivi al pubblico?
Il teatro non mente, mai! Noi ripetiamo queste piccole parole sempre, continuamente. Se nella vita possiamo scappare, svincolare dalle nostre responsabilità, dalle domande scomode, dalla viltà o dalla gioia, dall’amore o dall’odio, nel teatro non si può. Ogni domanda esige una risposta e siamo continuamente posti davanti a tutto il nostro essere senza mediazioni, senza vie di fuga. E allora un amore è amore profondo e l’odio è nero come la pece. Noi varchiamo una soglia tra il buio e la scena con la consapevolezza che saremo interamente un campo di battaglia e che qualcosa di noi, ogni volta, verrà trattenuta dal teatro. Al ritorno non saremo più quelli di prima. La nostra condizione artistica è fortemente legata alla nostra condizione umana e questo diventa difficile da gestire nel mondo in cui viviamo. Siamo allo scoperto.
Quanto sono importanti per voi i confronti con le compagnie straniere? Avete collaborazioni attive in tal senso?
Noi attualmente stiamo cercando di costruire dialoghi con realtà straniere. Bisogna dire che loro hanno spesso la possibilità di ricevere sostegno per viaggiare e relazionarsi con territori diversi. In Italia “andare all’estero” è come una first class, riservato a quei pochi, pochissimi artisti spendibili sia politicamente che artisticamente. Tutto questo è basato su un principio semplice quanto assurdo: promuovere i prodotti italiani all’estero. Quindi qualcosa di consolidato. Noi con molta tranquillità stiamo guardando al sud oltre il nostro sud. Siamo in una fase di scrittura di un progetto che avrà il suo inizio artistico nel 2015. Preferiamo lavorare sulle relazioni e la conoscenza reciproca piuttosto che a una distribuzione.
Nel 2011 avete operato un taglio netto con il vostro passato, lasciare una compagnia consolidata per iniziare un vostro percorso. A distanza di tre anni cosa pensate di questa decisione?
Noi cerchiamo continuamente la vertigine. La generiamo nella vita come nell’arte. La nostra necessità era dire una cosa che riguardava noi due, profondamente. Non abbiamo mai pensato a una rottura, a un taglio netto, abbiamo seguito una necessità. Siamo convinti che un gruppo, una compagine artistica non debba essere vincolante per le persone, quando lo diventa qualcosa non sta funzionando. È vero, ci siamo trovati da soli e privi di risorse strumentali e strutturali. La differenza con il passato? Nessuna. Noi siamo cresciuti lavorando in luoghi che crollavano, con tre ribaltine a illuminarci, uno stereo portatile per la musica. Quindi niente avevamo prima e niente abbiamo adesso. Inoltre la fama e il successo non sono mai stati obiettivi del nostro percorso. L’esposizione in questo senso ci ha sempre irrigidito, chi ci conosce lo sa benissimo.
Dicono che il teatro sia in crisi eppure i vostri spettacoli spesso registrano il tutto esaurito: quale credete sia il problema? “Una questione di qualità” o di eccessiva caotica offerta?
Qualità. Offerta. Teatro. La mancanza di risorse ha spinto molti a rinunciare alla propria modalità creativa, a ridurre i tempi e alleggerire il carico. I pugni ai fianchi sono molti e imprevedibili ed è difficile resistere, riprendere fiato e continuare in modo testardo a percorrere il sentiero che si è deciso di percorrere. Noi scegliamo ogni giorno per paura che tutto questo ci travolga. Cerchiamo i luoghi che possano darci il tempo di cui abbiamo bisogno, lavoriamo in residenze artistiche e portiamo nei teatri o in luoghi non convenzionali non solo la rappresentazione ma un progetto che li attraversi e generi domande. Ovviamente siamo un gruppo, non siamo soli e ognuno è ingranaggio di questo castello errante.
A un giovane aspirante attore cosa vi sentireste di consigliare? Lo scontato “andate all’estero” o un più tenace e impegnativo “restate e lottate per i vostri sogni”?
In modo istintivo direi “pensaci”. Poi gli direi “se proprio vuoi, buttati con tutto te stesso, spaventati se ti senti troppo comodo, non cercare il consenso o il compiacimento, cerca sempre nuovi inizi. Puoi farlo in qualsiasi parte del mondo” (Manuela). Io non saprei cosa dire… cosa consigliare… sicuro l’Italia è un paese che offre un’ottima formazione. Ci sono tante opportunità e contesti in cui incontrare artisti e maestri contemporanei. Al teatro si arriva ognuno a modo suo. Non esiste il manuale del giovane teatrante. Il teatro è una pratica legata alle persone e quindi non è detto che lo stesso contesto generi lo stesso risultato. Quindi cercherei le persone. Noi continuiamo a cercarle, pur avendo un gruppo di lavoro al nostro fianco. (Sabino)
Francesca Ceccarelli
Fonte: paperstreet.it
Artaud diceva che il teatro è la palestra dell’anima. E, se le tavole del palcoscenico sono di legno, un motivo ci sarà. Per esempio, quando in scena ci sono corpi che si stancano e si consumano, è bello sentirne il cigolio, i colpi sordi dei passi, o l’improvviso silenzio della non azione.
Il palco del Piccolo Bellini è nero e nudo. Al centro, c’è una bici a due posti montata su una grande molla che la alza da terra. La base della molla è stabile, ma non è fissata alle tavole del palco.
Tutto inizia con un’incursione di suoni e di corpi che, di soppiatto, fanno capolino sul lato destro del proscenio. Due figure buffe, speculari, di ragazze – jeans, maglietta bianca e ciuffi di capelli esageratamente cotonati – si cercano, s’incontrano, si trovano e si muovono nervosamente, su ritmibeat crescenti e ansiogeni. Rumori metallici di monete tintinnanti e di sbarre di ferro, cui si oppone il calore tondo dei passi veloci e la cadenza sicula dei dialoghi spezzati tra le due. Paola e Federica sono giovani, delicate, audaci, di una bellezza da aggredire, perché inconsapevole, pura. Paola e Federica sono cresciute insieme e ora in una cresce anche il ricordo dell’altra, che non c’è più.
La drammaturgia è costruita per frammenti ritornanti, che partono e arrivano sempre allo stesso punto, in cui qualcosa si è rotto per sempre. Il testo e elementi scenici alludono all’acquisto di una pistola, a un corteo di piazza in cui qualcuno ha sparato. Ma la trama, nel caso di questo spettacolo, passa in secondo piano; forse, proprio il testo è l’unico elemento vulnerabile di questo lavoro, poiché meno potente e, a tratti, quasi pleonastico, rispetto a quello che succede sulla scena.
Il fulcro – fisico, drammaturgico, dinamico – di quest’ora di corpi sudati ed energici, di smorfie, sbavature, tic che diventano azioni caratterizzanti, ripetizioni, umanità organica che si oppone e resiste alla materia artificiale, è quel tandem: baricentro, metafora, espediente scenico e drammaturgico di un’urgenza impellente che sulla scena diventa viva, tangibile, quasi respirabile. Il tandem è un’estroflessione del rapporto tra le due, un simulacro (reale) di forze e umori condensati, mischiati, ancora una volta, concreti: reali. Sul tandem si sale e si scende in sincrono, dai due lati opposti. Ognuna è co-responsabile dell’equilibrio dell’altra e dell’intera struttura/scultura: bisogna ascoltare, rispettare il ritmo interno dei corpi, degli organi, dei muscoli. Quando pedalano rivolte verso il pubblico non si possono guardare, eppure Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi s’incastrano alla perfezione, complici atletiche di questa singolare partitura psicofisica, su ballate grunge/elettroniche e ombre di corpi pedalanti che si moltiplicano sul fondo della scena – le luci, come la musica, sono semplici e precise, per un allestimento scenico minimale e contemporaneo. C’è un grande lavoro e studio del movimento dietro questo spettacolo; allo stesso tempo, all’intensa fatica “esteriore” e fisica, si contrappone un’intima e interna impossibilità di progredire, l’estenuante ginnastica psico-emotiva delle due protagoniste che pedalano e pedalano non le porta da nessuna parte, anzi, tornano indietro, o meglio: chi “è rimasto” non lascia andare chi non c’è più.
Da questo punto di vista, oltre a essere intriso di riferimenti beckettiani – a tratti ricorda anche il fortunato Maratona diNew York di Edoardo Erba – da questo lavoro traspira un importante elemento biografico dei due coautori: Sabino Civilleri (che firma anche la regia) e Manuela Lo Sicco (attrice da tenere d’occhio, in continua crescita) sono i “figlioletti” – si fa per dire – più che legittimi di Emma Dante, con cui fondarono la compagnia Sud Costa Occidentale nel 1999 e con cui attualmente lavorano; la coppia è protagonista diBallarini, ultima e più intensa parte della Trilogia degli occhiali, mentre nel 2016 faranno parte del cast dell’opera lirica su Cenerentola della regista siciliana. Dopo Educazione fisica, Tandem è la seconda creazione della compagnia costituitasi nel 2011.
Collocato in un’ottica di teatro contemporaneo e performativo, il duo rappresenta una delle realtà più interessanti tra le giovani compagnie emergenti e, elemento da non sottovalutare in questi tempi di leghismo applicato al teatro, del meridione – sono entrambi di Palermo. I due hanno tenuto laboratori con una particolare attenzione alle dinamiche di gruppo e all’ascolto corale, dedicati alla ricerca di un linguaggio teatrale che parta dallo studio delle discipline sportive. Il che, probabilmente, avrebbe trovato d’accordo anche Antonin Artaud.
Francesca Saturnino
Fonte: ilpickwick.it
Inizia la nostra stagione al Piccolo Bellini di Napoli, la sala che il cartellone del Teatro Bellini dedica alla nuova drammaturgia e alle compagnie più giovani. Cominciamo da due attrici, Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi. Il progetto TANDEM, così come è definito dalla compagnia, nasce dalla confluenza di idee e di proposte provenienti dalle menti di diversi artisti: non solo l’autrice Elena Stancanelli, ma anche la regia e l’idea scenica, nate da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, le musiche composte da Davide Livornese, la costruzione del tandem, utilizzato in scena, da parte di Mario Petriccione e l’idea di Stefano Pasquali, in collaborazione con La moto34 Roma, di inserivi sotto una molla estratta da un carro armato, fino al manifesto dipinto da Riccardo Brugnone. Ci sarebbero altri nomi da citare, ma forse è giunto il momento di parlare anche dello spettacolo. Probabilmente l’idea nasce e si evolve lungo un arco di tempo prolungato, ma sul palcoscenico si esprime, urla e muore, in brevissimo tempo. Insomma, un turbinio di immagini, di parole e pensieri, che coinvolgono gli spettatori, trascinandoli dentro la storia. L’estrema semplicità del fatto narrato è la caratteristica principale del racconto, che non si sofferma su elucubrazioni complesse, né su denunce sociali, pur lasciando intravedere elementi che potrebbero ricordare qualsiasi momento della storia italiana o mondiale in cui gli adolescenti si siano battuti per un’idea, dimostrando la loro irrequietezza davanti alla vita. La collocazione temporale potrebbe essere variabile, poiché la diversa età dello spettatore potrebbe spingere a ripensare alle occupazioni e agli scioperi, durante gli anni del liceo negli anni ’90, oppure alle rivolte sessantottine, o si potrebbe tornare indietro nel tempo o rimanere ai nostri giorni, fino al terribile caso della scuola Diaz di Genova. Ma la mente immagina anche scontri tra bande rivali, baby gang e spaccio di droga. Insomma, tutto questo sembra rimanere latente, ai bordi della narrazione, come elemento ovattato che non è mai reso palesemente in scena, ma solo presentato tra le righe, sin dall’inizio, perché funzionale ed indispensabile al discorso. L’impatto immediato con la conclusione, sin dalla prima scena, descrive velocemente gli ultimi istanti di vita di una delle ragazze, ed è trasmesso al pubblico attraverso suoni, luci, rumori, in un garbuglio di velocissime emozioni che devono solo far intuire, ma non spiegare. Il vero nucleo dell’intero racconto, invece, è costituito dal ricordo dell’amicizia adolescenziale tra le due ragazze, attraverso un tandem metaforico che è quello della vita gioiosa, impertinente ed incosciente, che caratterizza l’indole degli adolescenti di tutti i tempi. Il condividere la vita con un’altra persona non può dividere un tandem in due biciclette distinte, quando una delle due improvvisamente scompare. E proprio quel tandem che le due attrici utilizzano in scena, agganciato ad una molla, diventa il fulcro di tutto il movimento e della stessa narrazione, poiché viene utilizzato, con grande bravura, per descrivere i momenti di vita delle due protagoniste. Stesso abbigliamento, stessi atteggiamenti, stessi capelli, l’essere “una cosa sola”, nella purezza e nella semplicità di un’amicizia, è elemento reso attraverso il mezzo con il quale le due giovani attraversano la città, le vie, le salite e le discese, le stagioni, le difficoltà della vita. Fino al momento in cui la coppia si divide: una bravata, una pistola, la polizia, un corteo. Non è chiaro, volutamente offuscato, come lo sono i ricordi dopo uno shock. Com’è possibile pedalare in tandem da soli? Metafora del viaggio verso l’età adulta, questo spettacolo può sembrare comunque vicino all’immagine di un qualsiasi legame univoco tra due persone. Il gioco di ombre e la scelta delle musiche, il linguaggio, sembrano catapultarci nella stanza di un’adolescente che, mentre scrive il suo diario o il suo blog, o mentre parla con gli amici con uno slang particolare, è iniziata violentemente al dolore della vita adulta. La compagnia sottolinea la “precarietà” del gesto e della parola, entrambi variabili in base alle stesse variabili date dalla reazione del pubblico, dalla gestualità e corporeità, ma anche dal rapporto con l’oggetto scenico, il tandem, che “reagisce” a sua volta. Il racconto è costruito assolutamente a ritroso: la ragazza racconta all’amica, immaginando e ricordando, cosa succede a scuola in sua assenza e cosa è accaduto prima della sua morte, attraverso un ricordo-racconto, un diario, un incontro quotidiano e immaginario che lei, in realtà, costruisce con se stessa. In questo modo il pubblico riesce a comprendere cosa sia successo prima e dopo, ricostruendo velocemente il mosaico narrativo. La morte non è mai nominata esplicitamente e nessun banale e superfluo piagnisteo caratterizza il racconto, ma la richiesta incessante di non andare via esprime il dolore dell’assenza. Forse non si tratta di una morte “fisica”, bensì di un cambiamento. L’essere diventati adulti impedisce di pedalare ancora insieme, come quando si è adolescenti e spensierati.
Emanuela Ferrauto
Fonte: dramma.it
Nella penombra della scena, in posizione centrale, s’intravede una grande struttura in ferro. È una bicicletta, un tandem. Così, subito, balena alla mente il numero due. Un binomio, una coppia. Ma un tandem non è semplicemente una bici a due posti. È un’idea creata per due persone. Due entità, un solo sentire. L’ imponente scultura di Mario Petriccione, che poggia su di una molla che la tiene in bilico, è coprotagonista, assieme a Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi, della messinscena Tandem, di Elena Stancanelli, ideata e diretta da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco. Sulla destra del proscenio di Officina Teatro San Leucio (che li ha ospitati dal 31 ottobre al 1 novembre), illuminate da un cono di luce, le attrici Lo Sicco e Lucchesi si presentano: Federica e Paola, magliette bianche, jeans ed anfibi neri. La levità del bianco per scappare al mare, le scarpe scure per le manifestazioni ribelli. Con i capelli arruffati, come clown, in maniera speculare, prendono pose, “fanno le facce”, le smorfie, esasperano gesti. Si rincorrono, veloci ed aggressive. Con staffe di ferro costruiscono e smontano più volte quella bicicletta sospesa, così come i loro ricordi, fatti di sogni e rimorsi, che si frammentano in continuazione per ricomporsi e frantumarsi di nuovo. Questo tandem è la loro vetta da scalare, una montagna di gomma, un muro-cortina da oltrepassare, cavallo furioso da cavalcare e domare. Casa rifugio per rintanarsi, per raccontare e guardare il cielo. Per raggiungere Ciccio, che con chiavi e tenaglie aggiusta bici e forse scassina coscienze. Quell’uomo che Paola non bacerà mai ”perché è brutto” ma “ha il fumo buono”, che le porta altrove. Il rumore di spranghe, ferro di barricate, ricorda quello di una guerriglia assordante. Fragoroso, il tintinnio di monete lanciate, raccattate e riposte in un casco. Casco che protegge e che uccide. Denaro, potere che corrompe e compra pseudo-libertà e morte. Quelle di Federica e Paola sono le grida dei tanti giovani confusi che corrono verso un futuro che a tratti sbiadisce e si perde. Nei loro occhi c’è l’entusiasmo per un mare che le meraviglia e la rabbia di una rivoluzione mai vista ma di cui se ne sente un bisogno interiore, attratte da quel fascino insito, proprio delle nuove avventure. E la voce di Federica, ridondante, sovrasta e scuote: reclama il nome “Paola”, come per tenerla, per sentirla rispondere ancora. O, forse, solo per chiederle perdono. Ognuna conosce il vissuto dell’altra. Eppure, Paola non ricorda e ripete spesso “Non ricordo, dov’ero?”. Non ricorda della loro professoressa grassa, morta impiccata, che “non dava consigli ma insegnava”, nè della grave menzogna dell’amica, per la quale un amico era stato sfregiato con una bottiglia. Federica incarna il dolore per non essere riuscita a salvare Paola da quella pistola “ballerina”, che con frenesia passava da una tasca all’altra delle loro storie. Il ritmo della messinscena è impetuoso, non lascia tregua: lo spettatore non può distrarsi, deve ricucire il senso in orli di spazio e di tempo che possono sfuggire in immagini lampo; i corpi delle due amiche si spingono, si snodano, sobbalzano, ogni pedalata è una scarica di adrenalina che risale in gola, un ricordo tagliente, un morso amaro da ingoiare. La loro energia trasuda dagli occhi e dal fisico, evoca il frastuono di una generazione che ha pagato il torpore di altri. E lo sfasamento, la separazione, la corrosione di un vivere distratto le rende vittime di sistemi feroci e violenti. Le due attrici, a turno, passandosi un berretto, diventano Ciccio e, mutano sapientemente timbro, prossemica ed intenti. Lo spettacolo è giocato sulla precisione dei movimenti, la forza delle immagini espressive, delle pause, dei silenzi. Silenzi che come pochi interpreti, riescono a gestire, dilatandone tempi e suggestioni. Silenzi che si leggono chiari, immediati, sottolineati dai volti e dai gesti. Le musiche di Davide Livornese, ad orecchi poco esperti, richiamano un rock roboante e prorompente, che intensifica quel senso di smembramento e disorientamento, che la scena comunica.
In Tandem, il testo, l’interpretazione e la direzione sembrano seguire la stessa linea creatrice, conferendo una coerenza armonica alla rappresentazione, per la quale si ha quasi l’impressione che la scrittura scenica sfugga a quella drammaturgica e che tutto sia stato riscritto dai corpi e facies in divenire. E pare impossibile che sia un’ipotetica didascalia ad incorniciare quei quadri così vividi e dinamici dell’azione teatrale. E se ne vorrebbe saperne di più. Ma bisogna leggere lo spazio scenico, osservare la parola agita, quella che si distacca dal foglio per diventare altro. E forse è giusto così. Quella di Elena Stancanelli è una bella scrittura dal tratto scarno, essenziale ma fluido e con un intuizione del tutto personale. L’intenso lavoro attoriale, conferma ancora una volta la peculiarità di intendere il teatro-fatica di Civilleri e Lo Sicco, fondatori, insieme con Emma Dante, nel 1999, della compagnia Sud Costa Occidentale. Le protagoniste, cicliste in coppia, legate da sempre, pian piano, diventano agenti di una assoluta separazione, che recitano, non intendendo più il rumore della loro vita, della morte che si avvicina; a tenerle ancora insieme, solidali, solo l’aiutarsi reciprocamente a far passare sotto silenzio la verità, per nascondere la violenza subita e quella compiuta, la sventura che le circonda. Ma se si rimane soli, il tandem conserva il suo significato di senso? Anche se, oramai, è solo Federica ad essere rimasta seduta in sella a quel gigante inerme su due ruote? Ora che Paola, perenne crisalide, ha finito la sua corsa, scendendo troppo presto e per sempre, provando che “morire è sempre come affogare, perché non respiri”, quel tandem è soltanto una semplice bicicletta di ferro, con ruote che girano sempre più a vuoto e che presto arrugginirà. Ad Officina Teatro, con la compagnia Civilleri-Lo Sicco, ingenuità e menzogna si colgono in flagrante, in una sorta di tentativo ambiguo di ”jeu de massacre”, dove l’esperienza del conflitto individuale si mescola e si confonde alla sovversione collettiva. Un equilibrio eternamente instabile può scardinare rapporti. E i tanti ricordi e segreti condivisi possono non bastare a deviare destini, ricomporre storie e credere nelle rivoluzioni.
Antonella Rossetti
Fonte: quartaparetepress.it
NAPOLI – Andiamo a fare la rivoluzione o ce ne andiamo al mare? È questo il dilemma capitale che si pongono e si rilanciano Federica e Paola, in sella a due biciclette saldate fra loro e montate su una molla centrale che consente di farle salire e scendere, a turno, per alludere metaforicamente a slanci e sconforti. Parliamo di «Tandem», il testo di Elena Stancanelli in scena nel Piccolo Bellini per la regia di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, due dei fondatori, con Emma Dante, della Compagnia Sud Costa Occidentale. E si tratta, con ogni evidenza, di una sorta di Bildungsroman teatrale: cioè del racconto di un apprendistato alla vita sospeso, appunto, fra ideali collettivi e ripiegamenti in un privato minimo, teso a soddisfare bisogni personali altrettanto minimi. Ma il pregio del testo e l’interesse che suscita risiedono nel fatto che siamo di fronte a un gioco di specchi: poiché si capisce ben presto – dalla battuta di Paola ricorrente dall’inizio alla fine: «Io dov’ero?» – che lei non è che l’altra faccia di Federica, la sua parte che incarna, in un’età di passaggio, dubbi e incertezze che a poco a poco svaniscono per dar luogo a convinzioni frammiste, ci mancherebbe, a nuovi dubbi e nuove incertezze. Non a caso, Federica e Paola sono vestite, truccate e pettinate esattamente allo stesso modo; e identici sono i gesti che compiono nella sequenza iniziale dello spettacolo, fissandosi come se, giusto, ciascuna di loro non vedesse nell’altra che la propria immagine. Sicché la pistola che reiteratamente si sottraggono a vicenda diventa il testimone dell’autentica staffetta che qui si corre fra la concretezza indiscutibile del sé e la riflessione opinabile su quanto il sé crede o desidera. Inutile, a questo punto, sprecare parole sulla bravura delle interpreti, la stessa Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi. Basta dire, riguardo alle loro evoluzioni su quel tandem, che ancora non a caso la Lo Sicco fu nel 2009 la coreografa di Emma Dante per l’allestimento della «Carmen» di Bizet che aprì la stagione lirica alla Scala. Infine, voglio sottolineare che alla «prima» gli spettatori erano tutti giovani. E questo è già di per sé importante, con i tempi che corrono. Ma risulta addirittura confortante se lo si accosta all’ultima – e orgogliosa e coraggiosa – battuta di Paola. A Federica, che durante una manifestazione sente il pericolo della polizia, risponde: «Ma di cosa hai paura? Siamo un milione di persone…».
Enrico Fiore
Fonte: controscena.net
Vibrano echi di Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza in questo “Tandem”, spettacolo ideato da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, andato in scena al Teatro Era nell’ultimo fine settimana di marzo.
E’ una storia tutta al femminile, firmata da Elena Stancanelli, densa di domande e riflessioni su quello che avrebbe potuto essere e su come invece è stato, sul disincanto che accompagna il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, quella dei sogni infranti e dell’amara realtà, dura e irremovibile.
Protagoniste due ragazze immerse in un’avventurosa esistenza di “periferia”, sbaragliata da una morte tragica e violenta che ha fracassato d’improvviso la loro amicizia, una morte evocata e affrontata in tutto l’arco del lavoro, che ha interrotto un legame esclusivo e simbiotico, evaporato per sempre.
Tutta la storia si svolge attorno al mezzo a due ruote e due sellini che dà il titolo alla pièce, piantato al centro della scena: vero fulcro dell’azione, macchina scenica efficacissima e sorprendente, sfruttata in tutte le sue sorprendenti possibilità, quasi ci trovassimo di fronte ad una performance. Lo sguardo dello spettatore è ipnotizzato da cotanto dinamismo, e al contempo è chiamato a ricostruire, attraverso lacerti, la drammatica storia.
Il testo – tutto sommato efficace, anche se talvolta inciampa in una sorta di “lessico giovanilistico” un po’ inizi anni ‘90 – ci riporta a qualche decennio fa, come testimoniato in scena dalla presenza delle monete da cento lire. Un’epoca prima dell’euro, quando non c’erano ancora i telefonini, in un mondo di periferia fatto di occupazioni studentesche, fumo, furti, jeans e t-shirt bianche, fughe e ritorni da e nella realtà, manifestate in scena dal pedalare concitato in tandem tra discese, curve insidiose, sbandate, risalite, risate sguaiate e piccole tragedie, paure e sogni incoscienti che si scontrano con una realtà, quella della morte, simbolo di un passaggio all’età adulta dove a soccombere, e per sempre, sono soprattutto i sogni. Non si torna indietro e da quel tandem si scende scaraventati a terra.
In “Tandem” ci sono poche pause, pochi attimi di respiro, in un susseguirsi di azioni concitate e frenetiche, potenti ed esplosive, dove le due protagoniste – Manuela Lo Sicco e Veronica Lucchesi – dimostrano bravura e affiatamento, elemento quest’ultimo determinante per la riuscita del lavoro. Un lavoro potente, che aggredisce il pubblico in tutta la sua forza dirompente e nel suo dinamismo continuo e robusto.
In tutto ciò non si può prescindere da un rimando al teatro di Emma Dante; i due da lì vengono, ma Civilleri-Lo Sicco sembrano aver intrapreso un percorso caratterizzato da una cifra stilistica sempre più propria ed autonoma.
Marco Menini
Fonte: klpteatro.it
Educazione fisica / Boxe / Bianca / Ruah