È educazione fisica, non libertà.

Un allenatore vuole trasformare un gruppo di adolescenti nella squadra perfetta. Forgiare i loro corpi, orientare le loro teste. Portarli verso il gesto esemplare, convincerli ad abbandonare la mediocrità per il sublime. I ragazzi gli credono, e si abbandonano alla sua  esaltazione. E’ gratificante farsi strumento delle sue ambizioni, assecondare la sua volontà.
La squadra non pensa, i giocatori sono ingranaggi della stessa macchina. Reagiscono, non elaborano. Si allenano al grido di “If you can’t, then you must!!! Se non puoi, allora devi”.
Ma se davvero non puoi, che cos’è il dovere? Con cosa confina, che cosa dovranno essere disposti a cedere?
L’ Allenatore è il sovrano. Si occupa di morale. Annienta modestia, benevolenza e moderazione perché sono ostacoli alla sovranità. Predica il sacrificio, perpetua la menzogna e insinua la diffidenza.
La Squadra ritiene la soggezione necessaria. Teme l’allenatore, ne venera l’autorità. Obbedisce per non prendersi la responsabilità di scegliere.
Chi è più il più forte? E che cos’è, davvero, la forza?
….Ma non giochiamo mai?

Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco

Foto / Video

“Sbagliare, riprovare, sbagliare meglio. Dimenticare l’errore e subito ricominciare. Adesso voi siete Noi. E Noi è quello che tutti vorrebbero essere.”
(Elena Stancanelli)

“I due autori non esprimono giudizi, parlano unicamente attraverso i fatti, costruendo l’ingegnosa metafora di una società che scatena ciechi istinti di sopraffazione.”
(Renato Palazzi – Il Sole24Ore)

 

Ideazione e regia: Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco.
Testo: Elena Stancanelli
Con: Enrico Ballardini, Sabino Civilleri, Alice Conti, Giulia D’Imperio, Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina, Dario Muratore, Chiara Muscato, Mariagrazia Pompei, Quinzio Quiescenti, Marcella Vaccarino e Gisella Vitrano

Il brano musicale “Flai” è opera di Giovanni Verga
Disegno Luci: Cristian Zucaro
Realizzazione scene: Petra Trombini
Organizzazione e distribuzione: Giusi Giardina
Ufficio stampa A.C. Civilleri Lo Sicco: Erika Favaro

Produzione: CRT Centro di Ricerca per il Teatro di Milano, A.C. Civilleri Lo Sicco.
In collaborazione con: Santarcangelo dei Teatri, Scenica Frammenti, Comune di Ponsacco, PIM Spazio Scenico di Milano, Zerocento Palermo

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Press

ilsole24ore.com - Domenica24 - Autore: Renato Palazzi - 04/12/2011

 

È sicuramente una lieta sorpresa, e diventerà forse una delle scoperte importanti della stagione, lo spettacolo creato per il Crt di Milano da Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, due attori “storici” della compagnia di Emma Dante. Vi si ritrovano senza dubbio alcuni tratti stilistici – una certa prevalenza del gesto, una certa caratterizzazione nervosa dei personaggi – tipici della regista siciliana, ma caricati qui d’una nuova freschezza, Renato Palazzi – Il Sole 24 Ore – leggi su ilsole24ore.com

linkiesta.it - Autore: Andrea Porcheddu - 14/02/2013

 

Mi tornava in mente “Jacob Von Gunten”, il bellissimo romanzo di Rober Walser, assistendo a Educazione fisica, il primo spettacolo curato da Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri. Non perché il lavoro si ispiri direttamente alla storia narrata da Walser, che racconta della Scuola Benjamenta dove il giovane Jacob deve imparare a servire. Eppure, nello spettacolo si affrontano temi dirompenti che tornano anche nel romanzo: il consenso, l’ossequio al potere, il servilismo, la competitività, l’eliminazione dell’altro…
Sono state, queste, lunghe decadi in cui il BelPaese ha imparato sempre più e meglio a introiettare i valori del capitalismo. Trasmissioni di grande successo come il “Grande Fratello” hanno sancito la possibilità di “eliminare” il perdente, il diverso, lo sfigato di turno: tutto in nome del successo, dell’arrivismo, dell’arroganza del potere. Uno comanda, gli altri servono: e fanno a gara per servire meglio, per assicurarsi visibilità, consenso, compiacimento di chi comanda.
Educazione fisica, allora, nella sua struttura di spettacolo, è una grande metafora, aspra e efficace. Prende la pallacanestro come terreno di scontro, e mette in scena le dinamiche relazionali non solo tra lo spietato allenatore e i giocatori, ma anche tra questi ultimi, all’interno del gruppo (si può dire ancora “massa”?).
Si può pensare che l’assunto non sia nuovo – tra sport e teatro i legami sono antichi. Eppure qui si avvertono tensioni reali, che fanno slittare lo spettacolo su piani interpretativi diversi. Cominciamo con quella che direi macrostruttura: del rapporto maestro-allievi (o allenatore-atleti) si è accennato. Il rapporto è verticale: l’allenatore, con il mito delle Termopili, gestisce il potere senza controllo, in modo arbitrario, addirittura sadico. Ha la complicità del kapò di turno, che conta le flessioni; ha l’obiettivo di selezionare la squadra in vista della partita. Ha il potere, è il potere: è capace di negare arbitrariamente la possibilità stessa della partita, dopo il feroce allenamento e l’aspra selezione. È questo il gesto assoluto: il potere privo di controllo. Succede, infatti, che quando finalmente la squadra sarà formata, il quintetto base scelto, l’allenatore sgonfia il pallone. Nega lo scopo, l’esito dell’allenamento e questo susciterà la reazione del gruppo. Ecco, il gruppo, la squadra: qui sono le tensioni e le complicità, le alleanze e le vendette, la lotta per emergere fino a quel gesto eclatante dell’allenatore che priva di significato gli sforzi compiuti. Quando l’allenatore supera il limite, diventa potere arbitrario, la squadra si ribella.
Rivoluzione? Sì, bella ma sterile: gli atleti annientano il crumiro, ridotto a fantoccio (come non pensare al corpo di Gheddafi?) ma poi il loro gesto rivoltoso si svela sterile, inutilmente violento. Gli atleti non giocheranno la loro partita, non si assumono la libertà.
Mi viene da dire che, nonostante la visione cinica dei rivoluzionari-sconfitti, è il gesto stesso che mi sembra una pia illusione. Nell’era del servilismo e del consenso, trovare qualcuno che effettivamente si sappia rivoltare è raro. È accaduto recentemente nel mondo islamico, con la primavera araba: ma sugli esiti reali siamo ancora in attesa di capire. In Italia parrebbe quasi impossibile, nonostante i tanti proclami. Alla fine – sarà per l’eterna scuola della chiesa cattolica – siamo più pecore che rivoluzionari: sempre pronti a correre in aiuto del vincitore, diceva qualcuno. E questo mi fa dire che il finale di Educazione fisica sia, drammaturgicamente, favolistico oppure – che è lo stessso – una teoria, una tesi. Ricordo la rivolta dei giocatori francesi al mondiale di calcio: fu una pagliacciata.
Ma, per quel che riguarda lo spettacolo, non è questo il punto. È più intrigante fare un ragionamento metateatrale. Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco sono stati, per anni, colonne portanti e creative della Compagnia Sud Costa Occidentale di Emma Dante. Molti li ricorderanno. Mi sembra naturale, allora, che la loro riflessione sia anche sulle strutture del teatro, e sia anche una violenta, aguzza, analisi di quanto fatto con quella storica compagnia che non lesinava affondi metateatrali. In questa prospettiva le metafore sono straordinariamente efficaci: da un lato gli attori-atleti del cuore, vivaci, creativi, determinati, implacabili se necessario. Dall’altro il regista onniscente, maieuta, despota. E lo spettacolo-partita da fare: è questo l’obiettivo, lo scopo di ogni gesto e ogni pensiero. Chi decide lo spettacolo? Gli attori? Il regista? E, in definitiva, chi è l’Autore-Dio in questo eterno allenamento-training?
Nello struggente mPalermu – spettacolo di dieci e più anni fa, che lanciò la Compagnia Sud Costa Occidentale – la famiglia Carollo non riusciva a lasciare la casa: qui gli atleti non riescono a giocare. Ecco, dunque, la possibilità di (ri)trovare la stessa rabbia, la violenza, la frustrazione, il dolore: e soprattutto un teatro-in-divenire, che è aspra lotta per sopravvivere. Quella umanità che Sabino e Manuela avevano contribuito a inventare e incarnavano in scena con Emma Dante, si ritrova rinnovata negli sguardi, nei gesti, nei ghigni dei giovani atleti-attori. Palla da basket in perenne movimento e borsoni pieni di vita: tracce di umanità, di microstorie, di repressioni e frutrazioni, di sconfitte e illusioni. Sono loro l’anima pulsante di questo mondo chiuso nello spazio asfittico del playground. Bastano uno sguardo, un gesto, una mano fasciata a creare un personaggio. Lo spettacolo, prodotto dal Crt di Milano e dalla neonata Associazione Nuddu, bellissimo nel suo essere acerbo, vive infatti della straordinaria energia dei 14 interpreti: non solo Civilleri, allenatore-maniaco; poi – tutti sempre in scena: Enrico Ballardini, Alice Conti, Giulia D’Imperio, Daniele Giacomelli, Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina, Dario Muratore, Chiara Muscato, Quinzio Quiescenti, Alessandro Rugnone, Francesca Turrini, Marcella Vaccarino, Gisella Vitrano. Visto nella sontuosa sala grande del Teatro Era di Pontedera,Educazione Fisica ha il sapore aspro del sudore e della vita.

Andrea Porcheddu

Fonte: linkiesta.it

iltamburodikattrin.com - Autrice: Roberta Ferraresi - 11/02/2013

11 compagnie, cioè circa 50 persone, a presentarsi e incontrarsi per quattro giorni di lavoro intensivo (dalle 9 di mattina alle 7 di sera) a Pontedera. Le presenze sono quanto mai differenziate e frastagliate per estetica, provenienza, esperienza. Così varie anche, a quanto raccontano, le sessioni di lavoro giornaliere: 2 ore a disposizione di ogni gruppo, che può liberamente presentare il proprio lavoro tramite racconti, dimostrazioni pratiche, collaborazioni inedite, frammenti di training, di metodo e di spettacolo, per una rassegna che si presenta con un titolo quanto mai rappresentativo ed efficace, Scendere da cavallo, «il momento di riflessione – recita la presentazione – che segue una faticosa cavalcata». Ad avere l’idea, il direttore della Fondazione Pontedera Teatro Roberto Bacci, a seguito del festival di Collinarea di Lari, dove questi gruppi erano presenti col proprio lavoro: proporre, a fianco di un’esperienza spettacolare, un momento intensivo e di una certa durata dedicato all’incontro, alle metodologie, alla discussione – a una pluralità di voci, corpi, esperienze, insomma, che si affacciano di questi tempi sui palcoscenici della ricerca, complici lo sguardo e gli stimoli del critico Andrea Porcheddu, che segue tutte le giornate di lavoro.
Perché questa sembra, a un primo impatto, l’elemento di preziosità di questa iniziativa: offrire un ritaglio di spazio-tempo piuttosto lungo a un altrettanto consistente numero di artisti, per incontrarsi, conoscersi e, perché no, mettersi in discussione di fronte a pressioni che investono trasversalmente il lavoro di tutti, dalle istanze creative ed estetiche a questioni più pratiche, ad altre ancora, etiche e politiche. Certo, molti di loro già si conoscono e si incontrano autonomamente: ma il tempo dilatato delle stagioni o accelerato dei festival – dove si arriva, si fa spettacolo, si smonta e si riparte – rischiano di non garantire durate adeguate; o, quantomeno, non così plurali, a più voci. E, sicuramente, non di fare esperienza, intensiva e diretta, delle modalità di lavoro altrui.

Lo si vede bene, per chi non ha partecipato ai lavori quotidiani, nei tempi che seguono le serate di spettacolo: nel foyer e al bar del Teatro Era, si affollano pensieri, confronti, discussioni, da cui è possibile, forse, distillare un indizio del clima che si è creato nelle giornate di lavoro. Si parla di arte ma anche di molto altro, fra i muri di quello spazio incredibile che è la casa della Fondazione Pontedera Teatro. A “scendere da cavallo” sono, la sera dell’8 febbraio, Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, storici attori della Compagnia Sud Costa Occidentale, che portano in scena il loro primo lavoro, L’educazione fisica (leggi la recensione), coprodotto dall’Associazione Culturale Uddu, di cui sono co-fondatori. Un progetto davvero particolare, nato, come raccontano gli autori, da un’esperienza fatta senza alcuna volontà o orientamento a diventare spettacolo: un lungo ciclo di laboratori che ha attraversato l’Italia intorno al tema dell’autorialità dell’attore, da cui sono nati gli incontri che hanno condotto alla creazione dello spettacolo e ai 13 performer in scena, fra cui, oltre Civilleri, anche intere compagnie, come la siciliana Quartiatri e quasi tutta Odemà (con Enrico Ballardini e Giulia D’Imperio). L’educazione fisica  è un affresco – fondato sulla nettezza dei gesti, quanto sui piccoli dettagli e le micro-relazioni che li legano gli uni agli altri – del potere, della rivolta e del fallimento, rappresentato da 12 atleti di basket e dalla guida del proprio allenatore (Sabino Civilleri), dalla mimica marcata e un’ossessione dilagante per la storica determinazione di Leonida. All’inizio i giovani sono quanto mai sguaiati e colorati, ognuno con un dettaglio di personalità, fino a un’esplosione di più o meno scoordinati esercizi ginnici che invadono lo spazio. È tutto un proliferare di top e fasce variopinte, di cappellini e zainetti, mentre l’allenatore comincia l’indottrinamento: in breve, fra un esercizio (spirituale-fisico) e l’altro, scompaiono i dettagli che definiscono le individualità, tanto negli accessori che nei movimenti; in bianco e nero, tutti si muovono insieme, fino a rispondere all’unisono al coach, come un unico coro e un’unica litania. Di più, che succede se uno non ce la fa a stare al passo? Maglietta arancio, in panchina, emarginato. L’imposizione dell’allenatore non punta solo all’omologazione e disciplinazione della squadra, ma innesca anche una serie di rivalità e concorrenze intestine, che mettono gli atleti l’uno contro l’altro. Così, pian piano, le presenze arancioni sulla panca aumentano, fino a definire quella che sarà la squadra, il cui privilegio è giocare la partita; ma, giunto il momento, l’allenatore non ci sta: sgonfia il pallone, così nessuno giocherà e lui potrà continuare a esercitare il proprio potere, «perché niente cambia, nella vita». Ma, a questo punto, non ci stanno nemmeno loro. E scoppia la rivolta.
Così, tanto più che la recensione è già pubblicata sulla webzine, “scendiamo” anche noi “da cavallo”, attraversando le vivaci discussioni che si animano dopo spettacolo e che permettono di svelare, in parte, l’urgenza che ha condotto Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco a questa creazione: si parla di omologazione delle menti, con richiami ai tanti riferimenti più o meno dichiarati che costellano in questo senso la storia di un Paese. Sicuramente con l’invenzione della ginnastica nel ventennio fascista, che ha tentato di plasmare, irregimentandoli, tanto i corpi che le teste dei propri cittadini; ma anche con i tentativi dilaganti messi in opera dai più recenti mezzi di comunicazione (di massa e non). Ci si spinge, con la celebre guida di Elias Canetti, a interrogare le dinamiche che regolano i comportamenti delle masse; ci raccontano, svelando passaggi del processo di creazione, di una intensa ricerca intorno ai meccanismi di simbolizzazione – la ginnastica, il pallone, Leonida – e sulla costruzione dei personaggi – lui, l’allenatore, e la massa dei 12 atleti. Si ritorna, di continuo, alle condizioni socio-politiche attuali, italiane e non solo. E si parla, soprattutto, di rivoluzione: è lo snodo “caldo” dello spettacolo. Infatti, a un certo punto, quando gli atleti comprendono che si sono scannati per una partita che non si giocherà mai, vincitori e vinti si uniscono di nuovo, per rovesciare la tirannia dell’allenatore; nella messinscena, succede tutto nel giro di un batter di ciglio, e vengono in mente le tante statue abbattute da Stalin a Saddam alla Primavera araba. Ma qui, nella realtà, la rivoluzione è possibile? L’educazione fisica termina con un finale quanto mai inquietante e per niente consolatorio: una volta smantellato il potere del coach, i 12 atleti siedono, un po’ allibiti, sulle loro panche e nessuno ci pensa minimamente ad approfittare del vuoto di potere per giocare, finalmente, la propria partita. Vengono anche in mente, purtroppo, gli esiti più recenti di tante esperienze differenti, come l’apparente dissoluzione della dirompente energia con cui i movimenti Occupy e Indignados avevano scosso, negli anni scorsi, il panorama politico internazionale. Si parla di rivolta e di rivoluzione, di possibilità di ribellione, ma – dentro e fuori lo spettacolo – una domanda resta, sempre pressante: in una situazione di crescente indignazione e di crisi imperante, di evaporazione dei diritti e malgoverno quotidiano, cos’è che ci può portare, oggi, ad alzare la testa? E, soprattutto, anche se lo facessimo, dopo, che succederà?

Roberta Ferraresi

Fonte: iltamburodikattrin.com

dramma.it - Autore: Paolo Randazzo

Che “Educazione fisica”, lo spettacolo di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco (testo di Elena Stancanelli) che ha debuttato a Milano nel novembre scorso (Teatro CRT) e s’è visto nei Teatri Comunali di Vittoria e di Noto (rispettivamente l’11 e il 12 marzo 2012), sia un buon spettacolo è un fatto evidente e quasi tangibile: il soggetto è interessante (una classe che, attraverso un duro percorso d’allenamento sportivo, prova a trasformarsi in una solida squadra di basket), la scrittura scenica (testo, movimenti, spazio) presenta un equilibrio esatto tra coralità e prove d’attore, il ritmo è coinvolgente, le musiche ben scelte (tra le altre spicca “Rabbia e tarantella” di Morricone). Certo, poi ci sono anche delle imperfezioni, delle fragilità, dei segni che ricordano troppo da vicino il linguaggio di Emma Dante (della cui compagnia Civilleri e Lo Sicco sono stati veri e propri punti fermi negli spettacoli migliori) e se, soprattutto alla fine, lo spettacolo perde un po’ d’energia e tensione, si tratta complessivamente di un lavoro di buon livello. In scena, oltre allo stesso Civilleri, c’è un nutrito gruppo di giovani attori palermitani: Enrico Ballardini, Alice Conti, Giulia D’Imperio, Daniele Giacomelli, Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina, Dario Muratore, Chiara Muscato, Quinzio Quiescenti, Alessandro Rugnone, Francesca Turrini, Marcella Vaccarino, Gisella Vitrano. E però occorre dire che la qualità essenziale per la quale val la pena di vedere questo lavoro è la sua importante ed integrale densità metaforica: che cos’è quest’ educazione fisica di cui si dice, se non infatti una metafora della possibilità, che gli uomini hanno spesso sperimentato e praticato nella storia, di costruire miti, ovvero – per dirla col mitologo Furio Jesi – “immagini senza parole”? Immagini forti, compatte, immagini che comunicano valori assoluti, tranquillizzanti, valori classici, valori con le iniziali maiuscole (Eroismo, Patriottismo, Fedeltà, Sacrificio, Famiglia, Obbedienza) e soprattutto non discutibili, non criticabili, non interpretabili. «Educazione fisica, non libertà!», ecco il nodo: il coach, maniacale e molto fragile, se non marcio, cultore di storia antica e soprattutto innamorato – non a caso, si direbbe ampliando il discorso sul versante della presenza dell’immaginario classicista nella nostra cultura – dell’eroica resistenza degli Spartiati contro i Persiani alle Termopili, con la sua disciplina coarta le individualità in formazione degli allievi, le annienta, per farle diventare non tanto uno squadra quanto un “noi” compatto ed aggressivo. Un “noi” – pancia in dentro petto in fuori – che poi coltiva con la rudezza del branco i propri valori di conservazione, che rifiuta ogni diversità, ogni presunta inadeguatezza, ogni intelligenza critica. Da questo punto di vista anche il tema della sostanza dell’educazione (dell’educazione oggi, della sostanza individuale e dialogante del rapporto tra educando ed educatore, dell’importanza sempre attuale del gioco come strumento di formazione) è implicito in questa tematica e la conferisce ulteriore respiro e profondità, pur restando secondario e non ulteriormente sviscerato. Al centro dello spettacolo resta invece la dinamica mistificante della creazione del gruppo che, coi suoi miti e con le sue parole d’ordine, annienta l’individuo nella sua diversità: ma è un gioco pericoloso e non solo in quanto tale, ma anche perché, come l’ ultimo segmento dello spettacolo prova a ricordare, l’uomo ha un altrettanto potente spirito di ribellione e di autoaffermazione e, se si ribella, i primi a pagare sono proprio i maestri, i cattivi maestri.

Paolo Randazzo

Fonte: dramma.it

teatroecritica.net - Autrice: Maddalena Giovannelli - 05/12/2011

Ci sono famiglie e genitori più ingombranti di altri. Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri lo sanno bene: l’esperienza all’interno della compagnia Sud Costa Occidentale e la lunga formazione con Emma Dante non sono cose che si dimenticano in fretta. Il loro, diciamolo subito, è un buon debutto:Educazione Fisica, in prima nazionale al Crt di Milano (che ne firma la produzione), è un’opera d’esordio interessante e ben calibrata.
Un primo dato appare significativo: in tempi di tappe forzate e di ‘studi’ mostrati ancora incompleti per non mancare neanche un festival, Lo Sicco e Civilleri si concedono un intero anno di lavoro (ma il progetto di formazione è cominciato nel 2007). La genesi dello spettacolo è costellata di incontri importanti: la compagnia è stata ospitata, per periodi di prove, da Pim Off, Santarcangelo dei Teatri, Collinarea Festival di Lari.
Il lungo processo porta i suoi frutti alla prima sul palco: i 14 giovani attori selezionati mostrano consapevolezza e una notevole qualità di presenza. Il lavoro ha un’impronta fortemente corale: protagonista è una classe nell’ora di educazione fisica o, meglio, un’aspirante squadra di basket. Il Corifeo (Sabino Civilleri) è un coach che potrebbe essere un insegnante di storia antica, con le spallucce all’ingiù, la camminata affaticata ma marziale e una smodata passione per la vicenda delle Termopili. I ragazzi non parlano, se non rarissimamente: eppure ognuno di loro riesce a disegnare un personaggio preciso attraverso l’attitudine fisica, la smorfia della bocca o il modo di portare i capelli. Il piacere di essere sul palco e la voglia di dare il meglio sono palpabili; eppure non si ha mai la sensazione di uno sgomitare per essere notati a scapito degli altri. Ad apparire è piuttosto l’energia dell’insieme (e la forza che dà il sentirsi tali): ed è proprio quando questa emerge con più forza che prendono vita i momenti migliori dello spettacolo, come una minacciosa marcia collettiva scandita dal battere dei palloni all’unisono e dalle note di “Rabbia e Tarantella” di Morricone. L’utilizzo del basket come metafora di una formazione che mortifica l’individuo e abolisce le differenze per creare una squadra è molto chiaro: lo spettatore vede entrare in scena una classe sguaiata, disordinata e maldestra, come si addice a un gruppo di adolescenti vittima di una biologica tempesta di ormoni. I segni personali degli allievi vanno man mano sparendo: ai vestiti si sostituisce la divisa, il passo goffo diviene una camminata marziale dettata dalla voce e dal fischietto del maestro, il vociare indistinto si trasforma in un coro urlato e auto-persuasivo: «if you can’t, then you must!».
Eppure la regia non forza troppo l’interpretazione, gioca su volute ambiguità e lascia allo spettatore alcune questioni aperte. Molte le suggestioni: la classe come una società incapace di lasciare le specificità all’individuo; il potere come forma di manipolazione del corpo e della psiche; la difficoltà di tracciare un confine tra i sacrifici necessari per ottenere un risultato e la violenza subita e perpetrata; persino (perché no?) l’evocazione metateatrale di una formazione attorale condotta con una guida geniale ma forse a volte tirannica.
Proprio il magistrale lavoro con gli attori resta la parte più riuscita di Educazione fisica, mentre un qualche senso di incompiutezza lascia, nell’insieme, l’impianto scenico e drammaturgico: quasi la sensazione di un discorso interessante iniziato ma non portato fino in fondo. C’è poi la riconoscibilità dell’imprinting: il lavoro sul linguaggio corporeo è approfondito e convincente, ma è difficile non rintracciare, almeno a tratti, gli stilemi esasperati e grotteschi così cari a Emma Dante. C’è quindi da augurare a Lo Sicco e Civilleri di continuare il percorso iniziato, per affinare la mano e depurarsi progressivamente del linguaggio “familiare”: emergerà così con più chiarezza la personalità di un duo che già al suo esordio si rivela davvero promettente.

Maddalena Giovannelli

Fonte: teatroecritica.net

LaRepubblica.it - Post Teatro - Blog di Anna Bandettini - 11/12/2011

 

E’ in scena fino a domani a Milano, al Crt-Salone (che lo ha prodotto), il primo lavoro di Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri, due tra i più bravi attori della compagnia SudCostOccidentale di Emma Dante (lui era il magnifico protagnista di Le due zittelle e La scimia). Nel 2007 insieme hanno iniziato un progetto di formazione su un tema affascinante come l’ “autorialità dell’attore” e da quel progetto, l’anno scorso, è stato selezionato il gruppo di attori che ha iniziato a lavorare sullo spettacolo. Ne è venuto fuoriEducazione fisica, grazie a una doppia suggestione: per la “classe” come gruppo di persone coinvolte in no stesso progetto pedagogico, ma attraversato da dinamiche interne, e per il “lavoro fisico”che sta alla radice del teatro di Emma Dante e dunque di Civilleri e Lo Sicco.
L’idea di partenza dello spettacolo, il cui testo è di Elena Stancanelli, è bella: la pallacanestro, come gioco di squadra ma anche con regole crudeli come quella di tenere in possesso il pallone solo per tre secondi e il tempo limitato per correre al canestro. Uno sport, cioè, che chiede competizione, collaborazione tutto in poco tempo.
E infatti lo spettacolo è ambientato in una palestra, in fondo le panche per le borse degli sportivi in mezzo lo spazio per le gare e gli allenamenti. Che la squadra fa apparentemente regolarmente capitanata da un allenatore ossessionato dalle regole e da una pianta che ci porta dietro. D’altra parte si capisce presto che nessuno in quella palestra è pienamente in sè, emergono competizioni feroci, paure sottese, le regole diventano via via sempre più maniacali, la tuta diventa una divisa che spetta solo a pochi a chi davvero se la merita, la situazione precipita…
Ognuno ci può vedere quello che vuole, la metafora della vita, del potere, delle relazioni umane. I 14 attori attori sono davvero bravi, generosi, appassionati e “allenatissimi”, forti cioè di un bel lavoro fisico ed espressivo (Enrico Ballardini, Sabino Civilleri, Alice Conti, Giulia D’Imperio, Daniele Giacomelli, Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina, Dario Muratore, Chiara Muscato, Quinzio Quiescienti, Alessandro Rugone, Francesca Turrini, Marcella Vaccarino, Gisella Vitrano), peccato solo che quello che fanno non riesce a lievitare dopo l’impatto iniziale: è come se dall’idea di partenza non si fosse riuscito a trovare uno sviluppo narrativo tenendo assieme le fila di quello che si è mostrato, come se ci fosse qualcosa di incompiuto.
Restano allo spettatore l’eccellente lavoro corale degli attori e insieme le immagini che ciascuno di loro si è cucito addosso, maschere di umanità deformata. Ma nemmeno poi tanto.

Anna Bandettini

Fonte: LaRepubblica.it

ilgiornale.it - Autore: Redazione - 05/12/2011

 

Immaginatevi una squadra di basket piuttosto sgangherata, composta da un manipolo di adolescenti pronti a tutto, ma capaci di quasi nulla.
Il loro allenatore è un tizio con dei baffi molto marziali, una passione per Leonida, l’eroe spartano della battaglia delle Termopili, e un repertorio un po’ monotono di slogan del tipo «If you can’t, then you must! Se non puoi, allora devi!». Gli improbabili cestisti partecipano devotamente ad allenamenti sfiancanti al suono della fanfara dei bersaglieri, si lasciano telecomandare, umiliare, espellere, finché gli ingranaggi del potere cominciano a incepparsi, gli ordini iniziano a non venir eseguiti, la ribellione alligna nella squadra… La “trama”, per così dire, di Educazione Fisica – lo spettacolo di Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri in cartellone al CRT Salone fino a domenica 11 dicembre – è tutta qui, ma dice poco o nulla di un’opera di ingegneria teatrale costruita sui numeri dei passi che compie ognuno dei quattordici interpreti, sulla plasticità scultorea delle pose individuali e di gruppo, sulla precisione delle espressioni facciali, quasi perfette nell’esprimere l’infantilismo e lo stordimento di chi si è votato all’obbedienza assoluta. Lo Sicco e Civilleri sono due giovani attori che hanno fondato insieme con Emma Dante la compagnia Sud Costa Occidentale: in Educazione Fisica si ritrova la corporeità esasperata degli spettacoli della regista palermitana, ma senza che diventi fine a se stessa, senza trasformarsi in un’esibizione autoreferenziale. La gestualità grottesca si fa anzi racconto: in un tono fra l’ilare e il conturbante, narra la psicologia dei personaggi, tutti minuziosamente connotati, il loro rapporto con uno sport percepito come fonte di appagamento, ma soprattutto come forma di ambigua partecipazione al gioco della vita. Una squadra di basket insomma può rappresentare un contesto ideale per capire quanto il bisogno di affiatamento, se irregimentato in una disciplina ossessiva, crea cecità e sottomissione: ma può anche essere un terreno di coltura teatrale, un ambito in cui sperimentare il virtuosismo di un gruppo di attori capaci di tutto.

Redazione

Fonte: ilgiornale.it

Hystrio - 01/2012

Associazione Culturale Civilleri/LoSicco

 

klpteatro.it - Autrice: Martina Melandri - 02/12/2011

Educazione è, per l’enciclopedia, “il processo attraverso il quale vengono trasmessi ai bambini, o comunque a persone in via di crescita o suscettibili di modifiche nei comportamenti intellettuali e pratici, gli abiti culturali di un gruppo più o meno ampio della società”. Qualcosa che, una volta “inculcata”, dovrebbe durare tutta la vita, o che, più semplicemente, si riceve dall’appartenenza a una comunità, a seconda delle discipline adottati per la trasmissione.
Tra queste, per esempio, finalizzata al “miglioramento e disciplina del proprio strumento corporeo”, l’educazione fisica. Intesa come educazione della volontà nella Grecia classica, da una trentina d’anni negli istituti d’istruzione secondaria italiani, è un insegnamento che “concorre alla formazione globale dei giovani e al loro inserimento nella società civile”.
Qualcosa che si fonda nel rapporto tra allenatore e squadra, lo attraversa, e finisce per rimandare a dinamiche ben più ampie di comando/ubbidienza, è l’“Educazione fisica” di Sabino Civilleri eManuela Lo Sicco, ideatori e registi dello spettacolo prodotto dal Crt di Milano, e opera prima dei due attori formati con Emma Dante, tra i fondatori della compagnia Sud Costa Occidentale.
Debuttato in prima nazionale il 22 novembre scorso (in scena fino all’11 dicembre), lo spettacolo è stato presentato al pubblico attraverso due iniziative particolari: un “prequel”, e un esperimento su Twitter.
Per mostrare il lavoro dietro la scena, ovvero l’allenamento svolto nei mesi di residenza che ha portato allo spettacolo, dieci giorni prima del debutto, attori, ideatori e produttori di “Educazione fisica” hanno chiamato sul palco Sergio Giuntini, storico dello sport, Simone Merlo, ex giocatore e oggi allenatore di rugby, e Giovanni Lodetti, psicologo dello sport, per mostrare le parentele “in campo” tra sport e teatro: dalle similarità tra l’allenamento atletico e il training di un attore, alle analogie tra il “mettersi in gioco”, sudare, nello sport, sul palco e nella vita.
Questo è il punto di partenza del percorso ideato e condotto da Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri che, infatti, contestualmente alle repliche dello spettacolo, portano al Crt Salone anche “Boxe”, un laboratorio che indaga forme, dinamiche e rituali di questo sport da combattimento, e a cui possono partecipare attori professionisti.
Educazione fisica è, invece, l’esperimento condotto dagli interpreti prima dello spettacolo. In pratica, una sorta di metodo Stanislavskij in versione 2.0, con i 14 attori del cast su Twitter attraverso il profilo dei loro stessi personaggi, ossia i componenti della squadra di basket di un istituto superiore.
La “trama” dello spettacolo, infatti, è affidata alla relazione tra l’allenatore e i suoi giocatori, quell’esercizio quotidiano che vive, e sopravvive, allo sforzo dell’allenamento e che, sul palco, si manifesta attraverso una coreografia “agonistica” ed estrema, i cui movimenti seguono l’evoluzione stessa delle dinamiche interne alla squadra: ovvero, dall’incontenibile e caotica disambiguità del gruppo alla sua trasformazione in squadra, tanto rigida quanto il metodo di scelta che forma lo schieramento d’attacco, “a eliminazione”. Non a caso gli attori interpretano una squadra di basket: nella pallacanestro, infatti, il possesso del pallone è limitato ai 3 secondi, e la squadra ha 24 secondi per concludere l’azione a canestro.
Lo spettacolo parte da questi e altri dettagli sportivi, trasferendoli in forma di suggestioni spettacolari decisamente efficaci: non solo perché da un pretesto “semplice”, come il rapporto tra allenatore e squadra, arrivano a trattare temi come i danni provocati da un sistema educativo non controllato, la pericolosità di una formazione sproporzionata, la responsabilità dell’educatore e, in generale, l’abuso di potere.
L’“Educazione fisica” di Civilleri/Lo Sicco, senza dilungarsi in parole, senza offrire trattati “psico-socio-pedagogici” in forma di drammaturgie, ci parla, per esempio, dei casi di violenza (diffusi) tra i giovani, non solo verso gli altri ma anche in forma autolesionistica, facendo riflettere sul fatto che il fenomeno può avere origine in una pratica di educazione scorretta.
Altro punto di forza dello spettacolo è la cura del dettaglio: come metodo di lavoro, è stato la base delle prove dello spettacolo (e, ancora prima, della “scuola Dantesca” da cui provengono i due autori dello spettacolo), e si manifesta in scena come metodo di costruzione del personaggio. Infatti, se il sipario si apre sul gruppo di ragazzi già conosciuti su Twitter (come Angela Cupisti, 16 anni “e faccio la 2E del Gabelli”), al termine dell’allenamento/spettacolo lo schieramento è ben diverso: all’inizio ognuno si presenta nella sua istintiva (e adolescenziale) follia, nel suo modo di vestire, sedersi, gridare etc., alla fine la squadra è un branco addestrato, e feroce, ridotto a due formazioni antagoniste, divise e rese riconoscibili dal colore della maglia.

Martina Melandri

Fonte: klpteatro.it

stratagemmi.it - Autrice: Francesca Serrazanetti - 06/12/2011

“Lo sport e il teatro sono molto simili perché forme di espressione dove si ha un ruolo”, diceva Carmelo Bene. Lo sanno bene Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri, per i quali questa affermazione ha costituito uno dei punti di partenza per mettere in piedi Educazione fisica.
Avviato come progetto di formazione e ricerca con 20 giovani attori allo scopo di riflettere, tramite la pallacanestro, sulle dinamiche del rapporto tra individuo e squadra, tra gruppo e leader,  il lavoro è giunto a prendere forma di spettacolo attraverso alcuni periodi di residenza presso il Festival di Santarcangelo dei Teatri, Collinarea Festival e PIM Spazio Scenico, fino al debutto presso il CRT di Milano, produttore dello spettacolo.
Lo Sicco e Civilleri condividono una lunga esperienza teatrale, che dopo le prime peregrinazioni tra i cantieri teatrali della Zisa e la Scuola del Teatro Biondo di Palermo li ha portati a fondare con Emma Dante e Gaetano Bruno l’applauditissima compagnia Sud Costa Occidentale. Entrambi sono due dei più presenti interpreti degli spettacoli della Dante, a partire da m’Palermupassando per Cani di Bancata (lei nel ruolo di mamma Mafia) fino alla Triloga degli occhiali, nel quale insieme interpretavano il duetto Ballarini. Educazione Fisica è il primo progetto autonomo, avviato nel 2009 con la Associazione Uddu, di cui Lo Sicco e Civilleri sono soci fondatori. Alcuni dei momenti laboratoriali dello spettacolo si sono svolti, non a caso, all’interno di palestre, a diretto contatto con strumenti, tempi e movimenti della pallacanestro: lo studio degli esercizi e delle dinamiche dello sport hanno poi lasciato spazio alla trasposizione teatrale e a un lavoro di sintesi e astrazione.
La lezione di educazione fisica diviene nello spettacolo di Civilleri e Lo Sicco occasione non tanto per allenare il corpo quanto per forgiare lo spirito e riflettere sul rapporto tra il leader e il gruppo. Le grida dell’allenatore evocano, più che le sfuriate di un professore, gli ammonimenti di un capo istruttore ai suoi soldati. Il richiamo diviene esplicito nella citazione di Leonida alle Termopili, esempio evocato come modello di coraggio per spronare gli studenti-soldati ad affrontare il pericolo, soffrire, combattere. Fare qualcosa di buono per il proprio paese.
Sul palcoscenico la palestra è rappresentata nei suoi elementi essenziali: panchina e palloni da basket. E sono questi i due elementi intorno ai quali ruotano le dinamiche del gioco. I palloni si trasformano a tratti in armi di attacco, così come le panchine servono come luogo di attesa e spogliatoi, fino a divenire la tanto temuta panchina della riserva o, ancora peggio, del perdente. In un continuo alternarsi tra il registro del gioco e quello della realtà, tra sport e regime, gli ammonimenti dell’insegnante e l’allenamento dei ragazzi conducono fino alla partita conclusiva.
I tredici ragazzi della squadra lavorano in scena sulla coralità e la forza del gruppo, senza tuttavia tralasciare la caratterizzazione dei propri personaggi. Ai ruoli degli elementi della squadra corrispondono le specificità degli individui. Oltre che in scena, le peculiarità dei ragazzi emergono nei finti profili creati su twitter e riconducibili all’hashtag #educazionefisica. Dietro agli studenti della squadra dell’istituto Aristide Gabelli, si nascondono infatti gli attori dello spettacolo, che per oltre due mesi sono stati attivi sotto falsa identità sul web. Un’idea nata come strategia di comunicazione, ma di fatto divenuta un attualissimo metodo di lavoro sul personaggio e di immedesimazione.
Il risultato finale è uno spettacolo corale caratterizzato da una forte presenza scenica, ritmo ed energia. I tempi incalzanti del gioco della pallacanestro – non si può tenere in mano il pallone per più di tre secondi – divengono in scena movimenti a cadenze serrate, urgenza di fare qualcosa, necessità di superare l’alienazione per raggiungere il proprio obiettivo. Il testo, di Elena Stancanelli, è ridotto al minimo indispensabile e quasi interamente recitato dall’allenatore-leader. Della “scuola” di provenienza, quella guidata dalla Dante, resta senza dubbio l’approccio fisico, l’energia dei corpi, il ritmo quasi allucinato dei movimenti. I giovani attori sono stati spremuti nelle potenzialità dei loro corpi, in uno spettacolo in cui la fisicità sembra essere la chiave di accesso al cambiamento e quindi il segreto del successo. Anche per i neo-registi Lo Sicco e Civilleri.

Francesca Serrazanetti

Fonte: stratagemmi.it

teatroteatro.it - Autore: Giampiero Leoni - 22/11/2011

Opera prima di ottima fattura drammaturgica, capace di far discendere dalla metafora sportiva analogie né banali né retoriche con il teatro – e più in generale con l’arte e con la società – Educazione fisica è innanzitutto un’ora di recitazione corporea e corale di 14 giovani e bravi attori, sapientemente diretti a muoversi nello spazio angusto della scena.
Dopo un laborioso allenamento per laboratori, festival e residenze, è approdata al Salone CRT (che l’ha prodotta) la partita teatrale di Elena Stancanelli, Educazione fisica; personal trainer della squadra di atleti/attori, la coppia Manuela Lo Sicco-Sabino Civilleri, fuoriusciti dalla palestra di Emma Dante ‘Compagnia Sud Costa Occidentale’.
Ed è proprio Sabino Civilleri a ritagliarsi la parte dell’esaltato allenatore, prof. di ginnastica con fischietto e generale senza moschetto, Leonida di Spartani immaginari alla battaglia delle Termopili. Già, ma per quale guerra allena i suoi allievi? Per quale podio, il passo marziale, la danza tribale, il sudore della fatica, la gratificazione e la penitenza, la ferrea selezione e le medaglie al petto? Quale partita si sta giocando in quest’ora di educazione fisica, in cui la nerd va in panchina con un’espulsione da maglia rossa e il prestante maschio si gonfia il petto come un tacchino, pavoneggiandosi col gesto del tirar su la maglia a beneficio del pubblico? Insomma, mentre gli autori dicono del ferreo codice sportivo in realtà ne parlano in filigrana come di un paradigma comportamentale sovrapponibile alla società e allo stesso teatro: l’allenatore non è altri che il regista/demiurgo di un’operazione che solo nel successo del collettivo (gruppo, squadra, compagnia o comunità) può soddisfare il suo bisogno di gloria e di successo. L’atleta/allievo/attore, privato della sua personalità, si fa ingranaggio oleato col sudore a far girare la macchina da guerra condotta, per l’appunto, dal demiurgo. Nel dire ciò sembra d’uopo citare, del famoso dramma EinSportstück di Elfriede Jelinik (da cui forse Educazione fisica ha tratto qualche suggestione), una riflessione di Luigi Reitani nell’introduzione all’edizione italiana, per il quale studioso «lo sport è nel dramma la competizione elevata a principio di vita, la ripartizione dell’umanità in vincitori e vinti, la massa che scatena i suoi istinti primordiali. In altre parole lo sport è la guerra con altri mezzi».
Difatti, nel finale di partita, la squadra dei vincitori e la squadra rossa di vergogna dei perdenti –individuo-massa rabbioso di cattività – vanno come un sol uomo all’assalto del condottiero, rompendogli il giocattolo e probabilmente qualche costola, al grido ribelle della My way distorta dai Sex Pistols. Eppure la rivolta contro la pedagogia del vassallaggio e della soggezione, perno della società non meno del teatro – coi suoi vanesi dittatori e dittatrici, più o meno invasati come il prof. di ginnastica, come Leonida alla guerra – denuncia tutta la sua velleità: se è plausibile nell’ora deputata della performance, fuori, utopistica, s’ammoscerebbe come un pallone bucato.
Grandi applausi e giubilo dalle platee. Quasi una ola dagli spalti di uno stadio.

Giampiero Leoni

Fonte: teatroteatro.it

teatroespettacolo.org - Autrice: Maria Lucia Tangorra - 24/01/2012

«Compresi che gli uomini si parlano, sì, l’un l’altro, però non si capiscono; che le loro parole sono colpi che rimbalzano sulle parole altrui; che non vi è illusione più grande della convinzione che un linguaggio sia un mezzo di comunicazione fra gli uomini. Si parla a un altro, ma in modo che questi non comprenda. Si continua a parlare, e quegli comprende ancor meno. Si grida, si torna a gridare.
Le grida rimbalzano qua e là come palle, colpiscono, ricadono al suolo. Di rado qualcosa penetra negli altri, e quando accade è qualcosa di distorto».
Queste precise parole dello scrittore Elias Canetti esemplificano la logica “vitale” che la pièce “Educazione fisica” smaschera grazie al gioco teatrale.
Qualcosa di distorto è penetrato nella società – e detta così riecheggia inevitabilmente il «c’è del marcio in Danimarca» di shakespeariana memoria.Qualcosa di distorto l’allenatore (Sabino Civilleri) della nostra squadra inculca agli allievi: if you can’t, than you must.
«Per arrivare a ciò che non si ha, si deve seguire la via in cui nulla si ha; per arrivare a ciò che non si è, si deve seguire la via in cui nulla si è; per ottenere tutto si deve abbandonare tutto».
Lo spettacolo ideato da S. Civilleri e Manuela Lo Sicco e scritto da Elena Stancanelli, si presenta di poche parole, misurate, calibrate per risultare dei trapani perforanti nelle menti di adolescenti in crescita. Davvero per otteneretutto si deve abbandonare tutto?
Con le spalle rannicchiate, il coach cammina confabulando con la sua pianta troppo perfetta, simbolo dell’uomo che desidera plasmare. La sua squadra di 13 alunni fa capolino, si rivolge a loro come se avesse di fronte a sé delle amebe perché loro non possono capire in quanto non sanno (o almeno questa è la sentenza da lui emessa). I ragazzi rispondono all’appello, un unico flusso dove è impossibile distinguere i singoli nomi per la velocità con cui son stati allenati a pronunciarli e a susseguirsi – già perché in questa jungla di selezione naturale la regola è essere/farsi un numero, essere riconoscibile dal colore della maglia.
Seppur con toni più sottili (e meno scurrili) rispetto al generale Hartman, sembra rivivere un’atmosfera da “Full Metal Jacket” (film di Stanley Kubrick del 1987). Il prof invasato, come un novello Hitler, vorrebbe forgiare dei Leonida da «quell’inutile gruppo di gente casuale» e lo sport del basket ben si presta ad una partita ad eliminazione a scapito del più debole. Il giovane “branco” cresce grazie al continuo allenamento fisico, fatto di esercizi dell’obbedienza e della comunanza, della vergogna e dell’arbitrio alternandosi a flessioni, punizioni tese a umiliare e creare competizione. E’ così che dalla peculiarità del singolo si arriva all’omologazione: due squadre l’un contro l’altra armate di coraggio, fermezza, vergogna, arbitrio per essere invincibili.
Tuona la palla, impossibile vederla rimbalzare dolcemente, gli unici passaggi tra i ragazzi son sempre guidati da un sorriso di sfida ed è quel ritmo cadenzato dal fischio e dal palleggio a preparare ed evocare una danza tribale. Di forte impatto visivo e simbolico è, infatti, la coreografia che i bravissimi attori realizzano con una sincronia di movimento e di tempi sulle note di “Rabbia e tarantella” di Ennio Morricone (non a caso colonna sonora di “Inglorious Bastards” – film del 2009 di Q. Tarantino).
L’ “Educazione fisica”, l’ora che dovrebbe sviluppare alla socialità si trasforma in un campo di battaglia dove si sbaglia, si riprova senza replicare e si continua a correre a colpi di 1,2,3,4…10.
Ma Civilleri e Lo Sicco si e ci domandano: c’è un limite? Fin quando si può accettare di essere automi o peggio ancora scegliere di esserlo?
In questa messa in scena dinamica ed essenziale del potere, in particolare noi giovani siamo chiamati in causa. Ritornando a quel tutto che secondo l’allenatore bisogna lasciar andare per ottenere tutto, è umano chiedersi cosa sia quel tutto per noi. Forse qualcosa per strada va persa per andare avanti e crescere, ma “Educazione fisica” docet, lo spirito di squadra si crea avendo rispetto di se stessi e dell’altro preservando la purezza del proprio io per quanto imperfetto possa essere.
Ci piace chiudere queste riflessioni sulle provocazioni, suggestioni e domande nate dalla visione di “Educazione fisica” con le dichiarazioni programmatiche dell’associazione culturale UddU (fondata da Civilleri, Lo Sicco, E. D. Idda e D. Livornese).
«L’associazione culturale UddU è un centro di vita associativa, autonomo, pluralista, apartitico, a carattere volontario e volenteroso, democratico ed antesignano. Nasce dall’incontro necessario di artisti e professionisti, che hanno deciso di unire le loro forze per sostenere progetti totalmente e provocatoriamente inutili alla società ma importanti per l’arte.
UddU è un luogo protetto da un recinto dove con il sostegno degli altri, un’artista può seguire la sua ricerca ed esprimersi senza giudizi o pressioni esterne poichè questa condizione sostiene e garantisce la sua libertà». Ancora una volta un luogo palestra di vita, qual è il teatro, sa farsi veicolo di una comunicazione limpida, diretta e non distorta per farci (ri)scoprire quanto sia necessario avere la libertà di scelta, la libertà anche di poter dire: “no”.

Maria Lucia Tangorra

Fonte: teatroespettacolo.org

seipersonaggincercadiattori.wordpress.com - Autore: Redazione - 09/03/2012

Grazie alla geniale idea di Manuela Lo Sicco e Sabino Civilleri, gli autori dello spettacolo “Educazione fisica”, il teatro Duni di Matera si è trasformato per una sera in una palestra ospitando 13 inesperti giocatori alle prese con un crudele allenatore. L’intento degli alunni è quello di dare il meglio di sé per lasciare il segno durante l’allenamento, dovendo però affrontare il dispotico allenatore, che si dimostra antisportivo e spietato sin dalla prima scena, in cui prova piacere nello sgonfiare il pallone da gioco. Egli si propone di insegnare il coraggio e il valore ai suoi studenti autodefinendosi l’alter ego di Leonida, comandante spartano che guidò alla morte il suo esercito. Il rapporto che costruisce con loro risulta assolutamente negativo e diseducativo in quanto egli esalta solamente se stesso e la sua pianta, considerata l’unico alunno modello da curare e lodare durante il suo percorso di crescita. Da sottolineare la grande coordinazione e la sincronia degli attori, che diventano realmente una squadra durante scene suggestive nelle quali i palleggi di tutti si fondono perfettamente tra loro con il ritmo della musica. Lo spettacolo, povero di recitazione, mette in risalto infatti il linguaggio corporeo, che si rivela ricco di significati simbolici. La bravura degli attori sta quindi soprattutto nel controllare perfettamente allo stesso tempo il movimento del proprio corpo e quello del pallone. Grande emozione riescono a trasmettere anche i suoni, molto rari ed originali, come quello del pallone che si sgonfia, quello del fischietto (strumento che simboleggia il potere del professore), e le monocordi esclamazioni dei giocatori, esclamazioni che si trasformano in motti ed ideali da perseguire. Un singolo allievo colpisce il pubblico in confronto agli altri, diverso per il palleggio, per le ambizioni e anche per un apparentemente banale cappellino rosso, che per il personaggio che lo possiede, diventa alla fine un motivo di discriminazione. Un altro simbolo insito nei costumi riguarda le maglie dei singoli giocatori, inizialmente dai colori vivaci e diverse da personaggio a personaggio, poi ridotte ad un’unica maglia di colore bianco che, in contrasto con quella arancione, rappresenta l’obbiettivo degli studenti che si mettono in competizione tra loro per ottenere il ruolo da titolare e il riconoscimento del loro allenatore. Chi si aspettava di vedere uno spettacolo che mettesse in scena i fondamentali del basket, è stato probabilmente deluso . Ciò che è andato in scena è stato invece uno spettacolo forte, carico di spunti di riflessione e spesso difficile da capire. Del mondo dello sport assume solamente l’ambientazione, ma i suoi significati sono molto più profondi e trasferibili ad ogni situazione.

Redazione

Fonte: seipersonaggincercadiattori.wordpress.com

marieclaire.it - Autrice: Rossana Campisi - 22/11/2011

Ci sono 14 attori che per 60 minuti sono anche atleti. Sudano, saltano, si spingono. Giocano a pallacanestro. E si fermano, riflettono sui suggerimenti del coach. Alla fine, si chiedono che senso abbia la “formazione“. Quella sportiva, in campo, ma non solo: a scuola, a teatro e in società riceviamo insegnamenti. L’allenatore vuole trasformarli nella squadra perfetta. Vuole invitarli ad abbandonare la mediocrità per il sublime. Vuole allenare il loro corpo e la loro testa. Li sprona urlando “If you can’t, then you must!” (Se non puoi, allora devi). Eppure se davvero non puoi perché devi? O meglio cosa è il dovere? Quali sono i suoi confini? Questa ora di educazione fisica diventa così un gioco (di ruoli) in cui l’allenatore è il sovrano e la squadra si sottomette per non prendersi la responsabilità di scegliere. Ma significa questo vincere?
Di questo parla “L’educazione fisica”, opera prima di Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, palermitani, 35enni, fondatori della compagnia Sud Costa Occidentale con Emma Dante, in scena per la prima nazionale al CRT Salone di Milano (via Ulisse Dini 7) dal 22 novembre all’11 dicembre 2011. Il testo è di Elena Stancanelli e gli attori sono: Enrico Ballardini, Sabino Civilleri, Alice Conti, Giulia D’imperio, Daniele Giacomelli, Veronica Lucchesi, Dario Mangiaracina, Dario Muratore, Chiara Muscato, Quinzio Quiescenti, Alessandro Rugnone, Francesca Turrini, Marcella Vaccarino, Gisella Vitrano.

Rossana Campisi

Fonte: marieclaire.it

paneacqua.eu - Autrice: Erica Bernardi - 28/11/2011

Associazione Culturale Civilleri/LoSicco

sportmediaset.mediaset.it - Autrice: Antonella Pelosi - 23/11/2011
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Come trasformare un gruppo di ragazzi in una squadra perfetta? Crescerli e forgiarli al motto “If you can’t, then you must! Se non puoi, allora devi”, lavorare sì sul corpo ma soprattutto sulla testa. Arrivando a cancellarne l’identità per assecondare la propria volontà e la propria fame di potere. E’ la riflessione al centro di ‘Educazione Fisica’, nuova produzione del CRT (Centro di Ricerca per il Teatro) e opera prima di Sabino Civilleri eManuela Lo Sicco, tra i fondatori della Compagnia Sud Costa Occidentale con Emma Dante, in scenadal 22 novembre all’11 dicembre al Teatro Salone di Milano.
Il teatro incontra lo sport, e la pallacanestro in particolare, per accentuarne alcuni meccanismi, che in fondo sono le dinamiche della vita. Quello che avviene nella palestra del tiranno “E’ educazione fisica, non libertà”: non esiste l’individuo, il singolo alla fine è un mero ingranaggio di una macchina comandata da un allenatore ‘sovrano’, che incute soggezione per ricevere unanime consenso.
Un forgiatore di corpi che in realtà è un modellatore di anime: annulla il pensiero, la capacità di scelta, azzera i valori ‘buoni’ come la modestia ed esalta quelli ‘cattivi’ come la diffidenza, la falsità. Tutto in nome dell’ambizione. “Voi chi siete? me lo chiedo ogni volta che li guardo. Tu, per esempio, chi sei? No, non importa. Tanto non lo sai. Non sapete niente. Il vostro problema è che non sapete niente” (testo di Elena Stancanelli). Ma fino a dove si spinge la macchina? Qual è il punto di rottura? La ‘parola’ a quattordici giovani attori.

Antonella Pelosi

Fonte: sportmediaset.mediaset.it

 

Sportweek - La Gazzetta dello Sport - Autore: Enrico Aiello - 26/11/2011

Associazione Culturale Civilleri/LoSicco